«Attenti al dottor Ia: nelle cure l’intelligenza artificiale può diventare un’arma a doppio taglio»

«Attenti al dottor Ia: nelle cure l’intelligenza artificiale può diventare un’arma a doppio taglio»

La dipendenza dalla tecnologia può mettere a rischio anche il ragionamento clinico del medico?

—MM. Se la cura è solo una sequenza di prestazioni dove domina la tecnologia con l’arrivo dell’IA tutto si impoverisce e dominano le macchine. Se invece c’è un medico che prende in cura il paziente nella sua completezza si enfatizza l’aspetto umano e relazionale tra sofferente e curante. La cura non è solo applicare dei protocolli che possono fare anche le macchine, la cura è un rapporto tra due persone. L’importante è dare all’IA un perimetro ben preciso di aiuto e al servizio del medico, in questo modo può esprimere tutto il suo potenziale virtuoso. Serve una nuova architettura di cure che non sia fatta solo di protocolli, ma punti a una alleanza terapeutica che guarisce bene e meglio il paziente.

—PB. L’innovazione che porta l’intelligenza artificiale è come la costruzione di un nuovo ospedale. La forma che diamo ai muri di questo ospedale daranno forma al tipo di cura che vogliamo. La tecnologia non è un destino, dobbiamo solo interrogarci se ne vogliamo una che metta al centro la relazione con il paziente e da cittadini lo dobbiamo pretendere. Oggi i medici sono formati in modo che percepiscano anche in base ai sintomi del paziente la sua condizione in modo profondo e completo: si tratta di persone che hanno fatto della loro capacità medica una vocazione per la vita, se c’è una tecnologia che è sottrattiva o è competitiva con il medico allora stiamo facendo danni a noi cittadini e alla classe medica. Guardiamo piuttosto all’ottimizzazione dei servizi che può derivare dall’IA: se sono un medico di pronto soccorso e ho un paziente critico grazie a questa tecnologia posso gestire e organizzare in tempi brevi la risposta di più esami, come una tac o un esame del sangue e programmare l’intervento a esempio del cardiologo. L’ospedale da struttura statica di mattoni diventa dinamica e può gestire al meglio i percorsi di ogni paziente al suo interno. Ma faccio un altro esempio di vita quotidiana: in convento vivo con un 102enne e un 86enne cardiopatico e la domanda che sento di più è: quando devo prendere la mia pillola? Prima o dopo i pasti? Ecco mi immagino il Ssn che sviluppa un interfaccia che parli con il paziente in modo semplice e consigli l’anziano migliorando la sua aderenza terapeutica senza mandare mille messaggi al proprio dottore.

Le grandi piattaforme stanno sviluppando strumenti di intelligenza artificiale capaci di leggere lastre, proporre diagnosi e suggerire terapie. Vi immaginate un algoritmo accanto al medico, in ambulatorio o in ospedale? E i cittadini si affideranno al “dottor IA” invece che al proprio medico?

—MM. Quello che descrive è uno scenario che racchiude tutti i rischi e che io non vorrei vedere. Questi algoritmi esistono già nei telefoni, nelle tac e nei computer accanto ai medici. Ma se il futuro fosse questo, il medico perderebbe valore e la motivazione a studiare: come con la calcolatrice, prima ci si sforzava di fare calcoli complessi, poi nessuno li ha più fatti. Se la medicina resta frammentata in tanti atti tecnici, l’IA potrà perfezionarla ma anche amplificarne i limiti. Serve cambiare il modello di cura, riportando al centro il paziente e la relazione: solo così la tecnologia potrà davvero migliorare la qualità dell’assistenza.

Fonte: Il Sole 24 Ore