
Auto elettrica, T&E: «Cambiando i piani sul 2035 l’Europa rischia la marginalità»
William Todts è il direttore esecutivo di Transport & Environment (T&E). È a capo dell’organizzazione (che coordina e rappresenta a livello europeo le attività di diverse ONG nazionali e locali) dal 2017 ed è responsabile della strategia per raggiungere la mobilità a zero emissioni. Parla con Il Sole 24 Ore poco dopo il discorso dell’Unione della presidente Ursula von der Leyen, che ha rilanciato sulla necessità di un «futuro elettrico» per l’Europa, con auto piccole e accessibili. Von der Leyen ha anche anticipato i contenuti del vertice di venerdì 12 settembre, con i protagonisti dell’industria automotive continentale. «Nel rispetto della neutralità tecnologica stiamo preparando la revisione del 2035», ovvero dello stop alla produzione di motori termici, ha detto von der Leyen. Le case produttrici europee (ma anche il governo tedesco e quello italiano, oltre che il leader del PPE) si sono espresse quasi all’unisono, giudicando lo stop una minaccia alla loro sopravvivenza.
Todts sarà uno dei 22 al tavolo, «unico rappresentante della società civile», precisa. La transizione elettrica, sostiene, non è più una prospettiva, è una realtà: «È iniziata nel 2019, quando la quota di veicoli elettrici in Europa era appena all’1-2%. Oggi, settembre 2025, siamo vicini al 18-20%. È un progresso enorme in soli cinque anni: da quasi zero a un quinto del mercato. Secondo: è vero che l’industria, sotto il profilo finanziario, è sotto pressione, ma non dobbiamo dimenticare che ha avuto anni eccezionali nel 2021, 2022 e 2023, i più redditizi di sempre».
Cina ed Europa giocano sullo stesso campo?
A parere del numero uno di T&E «i nodi veri sono il crollo sul mercato cinese, dove i costruttori tedeschi hanno perso quote di mercato rilevanti, e la riduzione dei volumi del mercato europeo rispetto al pre-Covid, complici tassi d’interesse e stagnazione. Ma l’auto elettrica è il futuro. Nei grandi mercati – Cina, India, Sudest asiatico, Brasile – la crescita dell’elettrico è spesso più forte che in Europa. Quindi, o l’industria europea decide di non cambiare i piani e compete, oppure è destinata alla marginalità».
Mancano dieci anni al 2035. Intanto i costruttori cinesi, anche grazie agli aiuti di Stato, hanno fatto progressi enormi, e ormai sono più avanti sotto il profilo tecnologico. Alcuni player del Dragone possono permettersi passività miliardarie e vendite ancora limitate, senza rinunciare agli investimenti. Il campo di gioco non sembra lo stesso. E poi, oltre metà dell’elettricità in Cina è ancora prodotta con il carbone. «Condivido parte della sua analisi: seguo questa trasformazione da 15 anni. Detto ciò, non credo che la situazione europea sia così negativa. All’IAA Mobility di Monaco, Bmw ha presentato la Neue Klasse, Mercedes una nuova piattaforma, Volkswagen la nuova serie ID: tutti stanno migliorando molto. Per la prima volta in dieci anni sento i costruttori tedeschi dire “siamo al livello dei cinesi o di Tesla”. Sul software forse no, ma sul prodotto in sé siamo vicini».
I dazi sui veicoli elettrici cinesi? «Giusti e necessari»
«Quanto al campo di gioco non equo: noi di T&E siamo tra i pochi a dire apertamente che i dazi sui veicoli elettrici cinesi sono giusti e necessari. Oggi molte auto arrivano in Europa come kit dalla Cina, assemblati qui senza tariffe. Non possiamo permettere che accada. Lo stesso vale per le batterie: ben vengano gli investimenti, ma non a costo di cedere l’intera filiera. Quando i costruttori europei entravano in Cina, erano obbligati a joint venture con trasferimento tecnologico. Perché i cinesi in Europa no? Ed è assurdo, ad esempio, che l’Ungheria conceda miliardi di sussidi pubblici a CATL per una gigafactory: probabilmente anche con fondi europei. Bene gli investimenti, ma con regole chiare».
Fonte: Il Sole 24 Ore