
Autostrade, la Consulta boccia i rinvii degli aumenti dei pedaggi. Cosa può succedere
La Corte costituzionale ha dichiarato illegittime le norme che, dal 2020 al 2023, avevano rinviato gli adeguamenti dei pedaggi autostradali in attesa dei nuovi Pef. La sentenza n. 147, depositata oggi, censura i rinvii contenuti nei decreti-legge 162/2019 e 183/2020 – e così via alle deroghe successive – per contrasto con gli articoli 3, 41 e 97 della Costituzione. E lo fa con una decisione che nel caso specifico vede contrapposti Rav (Raccordo Autostradale Valle d’Aosta Spa) e ministero delle Infrastrutture.
La decisione
Per i giudici il legislatore ha inciso unilateralmente su un rapporto concessorio di natura contrattuale, alterando l’equilibrio tra amministrazione concedente e concessionari e pregiudicando continuità amministrativa, libertà d’impresa e buon andamento. Sullo sfondo, il ruolo dell’Autorità di regolazione dei trasporti: già dal 2019 l’Art ha fissato i criteri uniformi di calcolo tariffario che devono essere applicate dalle parti. Il dispositivo parla chiaro: niente moratorie generalizzate, ma applicazione delle regole esistenti – criteri Art e convenzioni – con la pubblica amministrazione chiamata a chiudere i procedimenti senza ulteriori ritardi. In ballo ci sono “conseguenze di non poco momento che così possono aversi sull’infrastruttura autostradale, sulla sua efficienza e sulla sua sicurezza, che necessitano di manutenzione e investimenti che vanno programmati”, spiega la Consulta in una nota. Non è un tecnicismo: il tema impatta l’equilibrio economico delle reti, la pianificazione degli investimenti e, a cascata, la sicurezza e la qualità del servizio. È qui che si gioca il prossimo passaggio politico -amministrativo.
Gli effetti
La sentenza, però, apre anche interrogativi operativi. Le reti hanno un fabbisogno di investimenti che non si esaurisce con la manutenzione ordinaria – viadotti, gallerie, adeguamenti di sicurezza – e l’equazione è nota: se non si interviene sui ricavi tariffari, bisogna riequilibrare per altra via l’economicità delle concessioni. Da qui due scenari di mercato che, in queste ore, vengono evocati in modo ancora informale: primo, un aggiustamento dei pedaggi entro le cornici fissate dall’Art; secondo, una rimodulazione temporale delle convenzioni, cioè la durata residua, per consentire il rientro degli investimenti programmati. Sono ipotesi di lavoro, non decisioni – e richiederebbero comunque un passaggio istruttorio pieno con l’Autorità e un confronto con la Commissione europea sul piano della compatibilità concorrenziale. Per capire l’entità degli investimenti necessari, un piano di rientro con estensione delle concessioni comporterebbe ad una prima stima 6-8 anni in più per Aspi e 2-4 anni per Gavio.
Il nodo
Qui sta il punto politico. Qualsiasi riassetto dovrà evitare di riprodurre, per altra via, quello “sbilanciamento” che la Consulta ha stigmatizzato: serve quindi una procedura trasparente, motivata e fondata su dati tecnici. Il richiamo ai criteri uniformi già dettati dall’Art – che la Corte evidenzia – delimita il campo: le tariffe non possono essere calcolate con metodologie superate, né sospese sine die in attesa di Pef mai chiusi. La pubblica amministrazione è chiamata, in tempi ragionevoli, a decidere sulle istanze dei concessionari, assumendosene la responsabilità. Ma certo l’eventualità di incrementi, anche selettivi, peserebbe su pendolari, autotrasporto e filiere produttive. Il Pd dà per assodato un aumento delle tariffe e chiede di sterilizzare l’impatto in manovra – misura che, a sua volta, comporterebbe coperture certe – mentre da ambienti di settore filtra la preoccupazione che un congelamento prolungato dei ricavi comprometta cantieri e standard di sicurezza. E’ un sentiero stretto, dentro il quale si colloca l’altra strada citata dagli operatori: una revisione ordinata delle convenzioni, anche sul profilo temporale, fermo restando che proroghe o estensioni non sono una scorciatoia e dovrebbero passare al vaglio europeo oltre che regolatorio. È un terreno scivoloso, su cui il Governo dovrà muoversi con cautela.
Il paletto
Ma in attesa di capire quali saranno gli effetti, non immediati, della sentenza la Consulta pianta un paletto che d’ora in poi è destinato a fare scuola: non spetta al legislatore bloccare in via generalizzata gli adeguamenti, specie quando esistono regole settoriali operative. Il riferimento all’equilibrio contrattuale non è formale ma rientra al contrario nella politica industriale. Se la concessione deve reggere nel tempo, l’equazione economica va composta in modo prevedibile e verificabile: tariffe, investimenti, qualità, sicurezza. E questo vale per tutti gli operatori.
Fonte: Il Sole 24 Ore