Aziende a caccia di profili tecnico-scientifici, ma non si trovano candidati

“Puntare su un approccio in cui scienza e tecnologia si integrano con materie umanistiche e artistiche sarà fondamentale per affrontare le grandi sfide odierne e future”. Non ha usato troppi giri di parole il Presidente di Fondazione Deloitte, Guido Borsani, nel presentare a metà luglio la seconda edizione dell’Osservatorio STEM “Rethink STE(A)M education – A sustainable future through scientific, tech and humanistic skills” promosso dalla stessa Fondazione.

E se ne può abbastanza facilmente intuire il motivo: il fabbisogno di profili professionali STEM (science, technology, engineering, mathematics) è in aumento ma i laureati in discipline scientifiche continuano a essere poco più di un quarto del totale (il 26% per la precisione) nei Paesi europei oggetto della ricerca, e cioè Italia, Spagna, Malta, Grecia, Regno Unito, Francia e Germania. Nel nostro Paese in particolare, come suggerisce molto chiaramente la nota che accompagna lo studio, la situazione è ancora peggiore: solo il 24,5% di chi consegue la laurea è STEM e limitando il conteggio alle sole figure femminili ci si ferma al 15%.

A destare preoccupazione è il fatto che si tratta di una tendenza che negli ultimi cinque anni si è mantenuta costante e senza variazioni in positivo, se non per l’eccezione della Germania, dove sei laureati su dieci (4 maschi e 2 femmine) possiedono un titolo di studio tecnico-scientifico. E l’effetto di questa latenza di profili con tali competenze è quanto mai impattante sulle dinamiche di ricerca di nuove risorse da parte delle imprese, con circa il 44% delle aziende italiane pronte ad ammettere di avere avuto difficoltà a trovare candidati con una formazione STEM.

Quali sono i principali ostacoli che osteggiano i giovani nell’intraprendere un percorso di formazione in queste discipline? Lo studio evidenzia come i problemi inizino a presentarsi nei gradi di istruzione inferiore e si riflettono in modo particolare nel passaggio dalla scuola superiore all’università. Tale transizione è infatti considerata “difficile” da oltre il 30% del campione di studenti intervistati e più del 40% di questi lamenta la mancanza di adeguate figure di riferimento per scegliere l’orientamento agli studi in modo più strutturato.

C’è quindi un ostacolo di secondo livello, strettamente correlato alla percezione diffusa fra molti giovani che le materie STEM sono più difficili da apprendere, richiedono più tempo e risorse economiche, e non sono adatte a tutti e in particolare alle ragazze, metà delle quali riconoscono la presenza di stereotipi di genere che disincentivano le donne rispetto all’avvio di un percorso di studi in ambito tecnico-scientifico.

Fonte: Il Sole 24 Ore