
Balenciaga, l’addio magistrale e necessario di Demna. Nuovo e convincente inizio per Maison Margiela
Concludere è un’arte che nella moda si pratica poco a carte scoperte. Molte delle collezioni finali di una direzione creativa lo sono solo a posteriori, dopo l’annuncio della separazione, sia essa consensuale e pianificata o improvvisa e bellicosa.
Che quella presentata da Demna mercoledì mattina nei saloni couture Balenciaga di Avenue George V sarebbe stata l’ultima collezione per la veneranda maison – che Demna stesso ha portato a fasti e profitti stellari con un amalgama unico di talento e cinismo – lo si sapeva invece da marzo scorso, ossia dalla nomina alla direzione creativa di Gucci. Questo ha dato alla prova tutto un altro contesto e tutto un altro spirito: insieme lirico e ricapitolativo, al contempo evidenziando quanto la conclusione fosse necessaria e tempestiva.
Il percorso di Demna dentro la lingua severa e il perfezionismo della forma dell’inimitabile Cristobal era giunto al termine ormai da qualche stagione, sclerotizzandosi in una formula potente, abrasiva, splendente, ma come tutte le formule destinata a creare assuefazione e da lì noia. È Demna stesso a dirlo tra le righe, emozionato, a fine show, in qualche modo consegnando la non semplice eredità a Pierpaolo Piccioli, suo successore: «Una delle mie difficoltà, qui, è stato muovermi dentro un codice troppo stretto per quel che il business è diventato: per questo ho dovuto mettere così tanto di me».
L’addio è un saggio di Moda – con la M rigorosamente maiuscola, rarità – che nulla aggiunge al già fatto ma che sigilla il faldone con la ceralacca per gli archivi della storia. C’è tutto Demna: le costruzioni estreme, il gusto inesorabile del tailoring, il distorcimento del quotidiano, la lotta tra abito e corpo, il trash e il glamour. Ci sono tutti i suoi personaggi, pure, diventati ormai di maniera. Affamato di nuovo con insaziabile bulimia, il sistema lo attende adesso al prossimo esame in panni italiani. Oltre che necessario, il cambiamento è inevitabile.
Da Viktor & Rolf il buio è pesto, il nero è assoluto, la concettosità massima. Il tutto, però, è stemperato da una buona dose di humor: freddo, freddissimo, nordico ma pur sempre tale. L’idea è efficace: gli abiti, identici, escono in coppie: un esemplare è gonfiato all’inverosimile di piume colorate, mentre l’altro è floscio, vuoto e sgonfio. L’interpretazione è libera: una riflessione sull’ubiquità del piumino? O forse un pensiero sul corpo pre e post-Ozempic? Sul mangiare per proteggersi e sull’affamarsi per sparire? Difficile decidere – il duo parla di un omaggio alle piume come topos della couture, ma si apprezza la perizia nell’esecuzione, benché questo sia solo un esercizio di stile.
Fonte: Il Sole 24 Ore