
Bar Italia, tra pioggia londinese e sogni hollywoodiani
«Non conta quanto a lungo si aspetta, ma chi si aspetta», dice Tony Curtis a Marilyn Monroe in “A qualcuno piace caldo”. Una battuta sopravvissuta ai decenni, come quell’altra, diventata quasi un proverbio: «Non piangere mai sul whisky versato». Frasi che sembrano fatte per rimbalzare tra i tavolini di Soho, a Londra, sotto l’insegna al neon di Bar Italia — cafè che da generazioni raccoglie outsider, artisti e nottambuli. È proprio lì che Nina Cristante, Sam Fenton e Jezmi Tarik Fehmi hanno trovato l’ispirazione per il nome del loro progetto: un gruppo nato nel 2019 e già affermato come una delle voci più incisive della scena underground londinese. Oscuro e riservato, il trio mostra una sorprendente facilità di scrittura, pubblicando in soli tre anni due album e altrettanti Ep. Poi, nel 2023 vola a New York per firmare con la Matador.
Vincere l’ermetismo
“Tracey Denim” e “The Twits” arrivano a sei mesi di distanza l’uno dall’altro. Il primo aggiorna le sonorità del rock anni Novanta con un approccio essenziale; il secondo adotta un registro più cupo. Dopo un anno di concerti incessanti, a gennaio 2024 i Bar Italia entrano allo studio Pony della capitale inglese con un obiettivo preciso: catturare su disco il sound del loro live. Per questo si unisce a loro il batterista Liam Toon. Nel giro di una settimana nascono due brani. “Cowbella” — una “Rock and Roll Queen” dei Subways sotto sedativo — riflette sull’attenzione mediatica che accompagna la rapida ascesa del gruppo. “Fundraiser”, invece, racconta la tensione tra desiderio e risentimento, evocando l’energia dei demo indie che popolavano MySpace a metà anni Duemila. Pochi mesi dopo, la band vola a Città del Messico per completare le registrazioni allo studio Panorama. Quando l’anno si chiude, i Bar Italia hanno alle spalle centossessanta concerti in dodici mesi che li hanno portati in giro per il mondo, un nuovo Ep, “The Twts*”, e il loro terzo album pronto.
Dalla pioggia notturna alle luci dei Novanta
Nella parte iniziale dell’album ci si imbatte in due ballate elettroacustiche: la notturna “Marble Arch”, che traduce in musica l’immagine di una Londra piovosa in cui ogni goccia sembra riflettere il malessere di chi la abita, e “Bad Reputation”, con il suo passo gotico e severo. Da lì, “I Make My Own Dust” scivola su un campionamento inquieto, cresce nell’intreccio delle voci e trova la sua catarsi nei ritornelli. “Plastered” richiama un registro più intimo, mentre “Rooster” si accende di una melodia che evoca l’energia dei Novanta. Se “The Lady Vanishes” fatica a imporsi, “Lioness” gioca invece con apparizioni e dissolvenze strumentali che rendono una serata inaspettata ancora più accattivante. Con “Omni Shambles” i Bar Italia tornano al loro tratto distintivo: canzoni che evocano l’intimità fratturata, come se chi ascolta spiasse attraverso una fessura. È un’idea che trova una forma ancora più diretta nella convulsa “Eyepatch”, prima che la title track chiuda in modo cinematografico, immergendo tutto in un chiaroscuro da pellicola in bianco e nero. E se il gruppo sembra oggi guardare oltre i confini dell’underground, resta comunque pericolosamente magnetico.
Fonte: Il Sole 24 Ore