Benessere, formazione e relazioni positive: la ricetta per i dipendenti felici

Quale azienda non vorrebbe avere una forza lavoro coinvolta, produttiva e pure felice? Ovviamente nessuna. La percentuale di lavoratori che si dichiarano poco coinvolti e sempre più distaccati, anche emotivamente, dalla propria professione e dalla propria impresa è però progressivamente cresciuta e costituisce un (serio) problema. «Se prima pensavamo fossero soltanto slogan – osserva in proposito Marcello Ricotti, Ceo di Ariadne Group – negli ultimi due anni abbiamo dovuto ricrederci perché è evidente che lavorare in un ambiente stressante o con risorse poco motivate può avere impatti devastanti in termini di business, turnover, fedeltà e qualità dei servizi offerti». Il punto focale della questione è il seguente: se le persone non sono più disposte ad accettare condizioni di lavoro ritenute inadeguate, ecco che per l’azienda scatta l’esigenza di ripensare processi e modelli organizzativi per mettere al centro il benessere e la soddisfazione dei collaboratori. In che modo? La risposta, secondo Ricotti, rimanda a un impegno ben preciso: «Creare piani di welfare che incontrano le esigenze di ciascuno e puntare sulla formazione, che è un aspetto spesso molto trascurato».

Non esiste un’unica ricetta magica

Se benessere e formazione sono due strumenti fondamentali per combattere il “disengagement” delle persone, non esiste per contro una ricetta universale da seguire e applicare per ottenere un elevato livello di engagement delle proprie risorse. E questo perché gli elementi in gioco sono molti. Vi sono però alcuni elementi che possano fare la differenza, e secondo gli esperti di Ariadne Group rispondono ai concetti di inclusività, di attenzione alle persone e di valorizzazione dei singoli componenti di un team. «Se dovessi elencare due fattori chiave per contrastare il flusso di dimissioni, il basso coinvolgimento delle risorse e tutte le problematiche che riguardano la gestione delle persone – sottolinea ancora Ricotti – non avrei dubbi e punterei su digital workplace e digital learning. Il primo identifica spazi di lavoro virtuali e fruibili da qualunque luogo e in qualunque momento, da ogni device e in totale sicurezza, che mettono a disposizione dei lavoratori strumenti in grado di ridurre burocrazia e operazioni brainless, favorendo trasparenza, collaborazione e comunicazione anche lavorando a distanza. Il secondo, invece, è una componente indispensabile per fidelizzare e motivare le risorse, per il re-skilling e per l’aggiornamento delle proprie competenze e offre – mai come oggi – opportunità quasi illimitate. Ma non può essere ridotto al semplice concetto di formazione online».

Avere in organico persone felici è dunque un primo tassello (fondamentale) per avere e costruire un’organizzazione di successo, tanto più che nell’arco della nostra vita trascorriamo mediamente oltre 90mila ore lavorando. Il dato rilevato dall’ultima edizione dall’Osservatorio Glickon è il punto di partenza per un’analisi che ha cercato di capire quanto sia presente questo sentimento fra manager e dipendenti. In linea generale è emerso che la relazione tra lavoro e felicità è necessaria per l’80% degli intervistati e per la quasi totalità degli stessi (il 97% per la precisione) l’essere felici rende anche più produttivi. Più dei due terzi del campione, inoltre, si è dichiarato contento della posizione che occupa e per il 34% il ruolo attualmente ricoperto rappresenta effettivamente ciò che sognava di fare, mentre il 37% si ritiene comunque soddisfatto e sereno pur ammettendo di essersi adattato alla professione svolta.

Gli aspetti irrinunciabili per i lavoratori

Dati rassicuranti, quelli appena citati, soprattutto se rapportati allo scenario di un mercato interessato da fenomeni come quelli della great resignation o del quite quitting. Non c’è quindi da stupirsi se il 46% delle persone oggetto di indagine ha confermato di essere disposto a cambiare impiego in nome della felicità, anche se costretto a rinunciare a qualcosa in termini economici o di benefit. Lo stipendio, da sempre una variabile molto importante nell’economia di una scelta professionale, resta in ogni caso un parametro di felicità importante per il 62% dei partecipanti, anche se i “veri” cardini dell’essere felici sul lavoro sono anche altri. Le relazioni con i colleghi e l’ambiente lavorativo, per esempio, sono una componente irrinunciabile per il 30% del panel che ha partecipato all’Osservatorio; altrettanto rilevanti sono le attività specifiche di cui il lavoratore si occupa e la flessibilità mentre meno sentita è la valorizzazione del talento e l’attenzione verso il proprio percorso di crescita, ambiti per i quali i margini di miglioramento sono in effetti ampi.

Interessante, infine, è capire come sta evolvendo il “fattore felicità” tra le varie fasce di età lavorative. Scopriamo allora che per la Generazione Z e i Millennial la qualità delle relazioni e la sostenibilità del tempo delle persone assume più importanza di quanto non lo sia per gli esponenti della Generazione X e per i Boomer, e lo stesso dicasi per la trasparenza e l’etica della realtà per cui si lavora. Per gli over 40, invece, il benessere psico-fisico risulta essere un elemento maggiormente apprezzato e con esso la valorizzazione economica e i benefit. Sono quasi cross-generazionali, invece, la crescita e lo sviluppo personale e la condivisione dei valori del brand dell’azienda in cui si è impiegati. Infine due dati che forse dicono molto sullo stato d’animo, spesso confuso, dei lavoratori di oggi: il mantra “scegli un lavoro che ami e non dovrai lavorare nemmeno un giorno della tua vita” è ancora una certezza per il 67% degli intervistati ma alla domanda “riesci ad avere un buon work-life-balance tanto da renderti felice?” le risposte si dividono praticamente a metà, con una leggera maggioranza verso il “no”.

Fonte: Il Sole 24 Ore