Benessere in azienda? Per il 54% dei ceo italiani è un fattore strategico

Benessere in azienda? Per il 54% dei ceo italiani è un fattore strategico

Il 54% degli amministratori delegati italiani crede che il benessere dei propri dipendenti rappresenti un fattore strategico per il successo finanziario e il 47% è consapevole del fatto che si tratti di un elemento considerato di rilevanza pari allo stipendio. Il 76% di questi segnala un Roi (Return on Investment) positivo collegato ai programmi aziendali per la salute dei dipendenti, e il 95% è coinvolto in prima persona nell’approvazione del budget destinato alle iniziative per il benessere. È quanto emerge dal sondaggio internazionale “Return on Wellbeing 2025” di Wellhub, piattaforma di servizi per il benessere olistico in azienda, che ha coinvolto oltre 1.500 amministratori delegati in dieci Paesi e dirigenti d’azienda a livello mondiale.

Ceo inglesi e rumeni più interessati, meno i tedeschi e gli spagnoli

«I Paesi extra europei guidano la classifica dei più sensibili all’importanza dei programmi aziendali dedicati a questo tema – commenta Claudia Cipolla, responsabile per l’Italia di Wellhub –. Tra i Paesi europei, Inghilterra e Romania emergono per la maggior percentuale di ceo convinti dell’incidenza strategica degli strumenti aziendali per il benessere, rispettivamente il 58% e il 56%, e con una percezione positiva del Roi del 76 e del 75 per cento. Altrettanto significativo è l’impatto positivo percepito in virtù delle iniziative per il benessere dei lavoratori sulla produttività, che viene espresso dal 47% dei ceo inglesi e dal 41% di quelli rumeni. Tra i Paesi del Vecchio Continente, l’Italia si colloca nella parte alta della classifica: emerge una buona propensione dei ceo a investire nei percorsi per il benessere dei dipendenti. Il 54% dei vertici aziendali intervistati lo ritiene strategico e il 51% investe per la salute in azienda, con il 35% che ha rilevato un aumento effettivo nella produttività. Altrettanto incisiva è la percezione del Roi positivo generato dal miglioramento nella salute dei dipendenti, che trova d’accordo il 74% dei ceo».

Minore consapevolezza della rilevanza strategica del wellbeing come asset intangibile per migliorare la competitività viene espressa, invece, dai ceo tedeschi e spagnoli, solo nel 50% dei casi condividono questa convinzione. Nei due Paesi europei, però, il Roi del benessere in azienda raggiunge valori importanti: rispettivamente del 73% in Germania e del 80% in Spagna.

Benessere: asset centrale, ma dipendenti poco coinvolti

L’indagine evidenzia la preoccupazione degli amministratori riguardo al coinvolgimento attivo dei dipendenti nelle attività promosse. Il 30% degli intervistati ritiene che la scarsa partecipazione ai programmi di wellbeing rappresenti il principale ostacolo al successo delle iniziative, considerandola persino più critica dei costi (29%) o della giustificazione del Roi (24 per cento). «I programmi di benessere strutturati e continuativi sono fondamentali per motivare e coinvolgere i dipendenti, trasformando l’impegno dei ceo nella promozione della cultura del benessere in azienda in risultati tangibili per i lavoratori – spiega Cipolla -. Recenti dati ci hanno mostrato quanto sia importante anche l’effetto domino generato dal passaparola, che può aumentare fino al 25% il tasso di adesione alle iniziative per migliorare la forma psico-fisica dei dipendenti. Programmi flessibili, olistici e profondamente integrati nella strategia aziendale favoriscono una maggiore produttività, riducono l’assenteismo e tagliano significativamente i costi. È essenziale l’impegno dei dirigenti, supportato da dati trasparenti sul Roi del benessere, che colleghino direttamente il benessere dei dipendenti a metriche aziendali quali coinvolgimento, fidelizzazione e riduzione dei costi».

Il 78% degli amministratori delegati considera il benessere non una spesa, ma un investimento intelligente, e l’80% dei dirigenti sta attivamente aumentando gli investimenti in quest’ambito. Inoltre, i ceo tendono a destinare budget più consistenti quando il benessere è identificato come strumento di prevenzione sanitaria, piuttosto che come semplice elemento di attrattività lavorativa: ciò ne aumenta la legittimità percepita e sblocca maggiori opportunità di finanziamento.

Fonte: Il Sole 24 Ore