
BHMF per culture afrodiscendenti – Il Sole 24 ORE
BHMF (Justin Randolph Thompson e Janine Gaëlle Dieudji) è un collettivo curatoriale nato nell’ambito di Black History Month Florence, iniziativa fondata nel 2016. Dieudji è una curatrice di nazionalità franco/camerunese con anni di esperienza nel contesto istituzionale, avendo collaborato con realtà di rilievo quali lo Smithsonian National Museum of African Art, il MACAAL (Museum of African Contemporary Art Al Maaden), Alserkal Avenue e il Festival France Odeon, tra gli altri. Justin Randolph Thompson, classe 1979 nato a Peekskill (NY), è un artista, educatore e facilitatore culturale, vincitore di riconoscimenti come Italian Council e Creative Capital, e curatore di progetti tra cui «On Being Present» per le Gallerie degli Uffizi.
Ci raccontate di voi, del vostro percorso e della vostra visione curatoriale? Soprattutto quali mostre che per impatto ed importanza possono essere qualificanti del vostro percorso?
Insieme abbiamo co-fondato e co-dirigiamo il centro di ricerca e di cultura fiorentino The Recovery Plan. Ci accomuna l’urgenza di rendere accessibili narrazioni culturali complesse a un pubblico ampio, con particolare attenzione alle storie e alle culture afrodiscendenti, spesso marginalizzate nel contesto italiano. La nostra pratica assume l’archivio come strumento critico e al tempo stesso come invito, valorizzando le molteplici forme di produzione di conoscenza presenti nelle comunità che ci circondano, e ponendo al centro la celebrazione della ricerca artistica.
Il nostro lavoro si sviluppa prevalentemente attraverso processi collaborativi. In questo senso, la personale di Sammy Baloji «K(C)ONGO: Fragments of Interlaced Dialogues. Subversive Classifications», presentato a Palazzo Pitti e curato insieme a Lucrezia Cippitelli e Chiara Toti, rappresenta emblematicamente il nostro approccio. Tra le mostre chiave che riflettono la nostra prospettiva e il nostro linguaggio visivo, oltre che la vocazione alla collaborazione istituzionale, sono le numerose mostre al Murate Art District come «Memory Effect«, «Repose and Resist» e «Tremendous Mobility». In tutte queste occasioni, artisti di diverse geografie e generazioni hanno dialogato intorno all’archivio inteso come organismo vivo e in continua trasformazione.
Guardando al passato c’è un Padiglione Italia che ti ha particolarmente colpito o ispirato e quali errori non vanno ripetuti? E ampliando lo sguardo a quelli internazionali?
Ci viene in mente «Il Mondo Magico» curato da Cecilia Alemani. E’ stato un padiglione di particolare impatto. Ne abbiamo apprezzato il distacco dalla narrazione politica nazionale che tende a seguire una canonica comprensione dell’Italia e, spesso, porta a risultati didascalici o caricaturali. Il lavoro era poetico, profondo, teatrale e attento nel dedicare grande rispetto alla gestione spaziale degli artisti coinvolti. Il nazionalismo è un terreno scivoloso; va affrontato con cura e attenzione alle sfumature per evitare di replicare luoghi comuni.
Fonte: Il Sole 24 Ore