
Birra, la ripresa è rimandata. Ma aumenta la quota delle analcoliche
I produttori insomma vedono, nel medio termine, la ripresa di un percorso verso una maturità del mercato che non è stata ancora raggiunta. «In Italia il consumo è abbondantemente sotto la media Europea – argomenta Pratolongo – e non sono venuti meno i macrotrend che hanno permesso la crescita di lungo periodo, dalla ricerca della naturalità dei prodotti che abbraccia tutto il food&beverage e che dai consumatori viene riconosciuta alla birra da molto tempo, ai consumi che premiano i prodotti con radici sul territorio. Su questo tema le aziende hanno fatto molto, rivitalizzando etichette storiche con nuove ricette. Altri driver di crescita sono legati all’informalità della birra e alla facilità di abbinamento. C’è anche un fattore di accessibilità, sia di tipo economico sia di tipo culturale, nel senso che l’approccio alla birra implica meno conoscenze specifiche da intenditori e, per così dire, gourmet».
Il successo del low e no alcol
Rispetto al vino il vantaggio è anche nel minor grado alcolico, in un contesto di attenzione sia culturale sia normativa alla diminuzione dell’assunzione di alcol. Non è un caso che le proposte cosiddette “zero zero” (o con pochissimo alcol) siano in netta controtendenza: anche se valgono solo il 2,1% del mercato italiano la quota è cresciuta del 13% nel 2024 e dopo rialzi consistenti anche negli anni precedenti. «Sono migliorate come gusto e ora ci sono molte proposte già pronte, mentre ad esempio nel vino l’alternativa per ora praticamente non c’è. Vero che si tratta di una quota bassa – continua Pratolongo – e dato che non siamo un Paese di grandi consumatori, la crescita non potrà essere molto veloce, ma questa è indubbia. Ad esempio in Spagna, dove i consumi pro capite sono il doppio dei nostri, le “zerozero” sono sopra il 10% di quota di mercato».
Più in generale molti tipi di birra hanno una gradazione bassa, in media sotto i 5 gradi alcolici con le lager che coprono in Italia l’84% del mercato. «A proposito dell’allarme che si è creato per le nuove sanzioni previste dal Codice della strada, noi agli operatori del fuori casa consigliamo di proporre le analcoliche come “seconda birra” della serata a chi non vuole rischiare di superare i limiti di legge». Nonostante la quota di consumi nel fuori casa sia arrivata al 38,5%, «è l’away from home il settore che sta soffrendo di più, non perché si scelga di consumare meno birra rispetto ad altro, ma perché diminuendo il numero di uscite diminuiscono le occasioni di consumo», precisa Pratolongo.
I produttori: tagliare le accise
La birra è sempre più una bevanda da pasto entrata nella quotidianità delle famiglie, ma in un contesto inflattivo sui consumi non ha giovato il rialzo delle accise, dopo i tagli provvisori decisi dalle leggi di bilancio degli anni passati. Ora lo “sconto” è stato reso permanente solo per i birrifici che producono fino a 60mila ettolitri (tra il 50% e il 20% a seconda delle quantità prodotte).
Assobirra chiede invece che il taglio torni a essere generalizzato, avvicinando così l’Italia al resto d’Europa: «Le accise, che nel 2024 hanno superato i 714 milioni e incidono fino al 40% del prezzo finale nel formato più popolare e venduto in Italia, la 66 cl, rappresentano un freno alla competitività delle imprese, limitano gli investimenti e favoriscono l’importazione da Paesi che hanno una fiscalità più vantaggiosa», dicono dall’associazione.
Fonte: Il Sole 24 Ore