
Blackout treni a Termini per il «chiodo». L’Autorità trasporti: Rfi negligente, rischia una sanzione fino a 2 milioni
Un cavo danneggiato, il famoso chiodo, la stazione di Roma Termini al buio, treni fermi e viaggiatori disorientati. È bastato un guasto elettrico per mandare in tilt, il 2 ottobre scorso, uno dei cuori pulsanti del sistema ferroviario italiano. A distanza di nove mesi, l’Autorità di regolazione dei trasporti ha deciso di fare chiarezza aprendo un procedimento sanzionatorio contro Rete Ferroviaria Italiana. Secondo la delibera n. 113/2025, approvata il 10 luglio, Rfi “non ha adottato misure idonee a garantire l’esercizio e la manutenzione dell’infrastruttura, assicurandone l’accessibilità e la funzionalità”, in violazione della normativa vigente e del Prospetto informativo della rete (Pir). E quindi chiodo o non chiodo, secondo l’Authority guidata da Nicola Zaccheo, a creare il caos sarebbe stata la mancata gestione dell’emergenza da parte della controllata di Fs, responsabile dell’infrastruttura, che ora rischia una multa fino a 2 milioni di euro.
Il caos del 2 ottobre
Il guasto, verificatosi nelle prime ore del mattino a causa del danneggiamento di un cavo da parte di un’impresa appaltatrice, ha generato una disalimentazione critica degli impianti di segnalamento e circolazione, ricostrurisce Art. Alle 6:20 le batterie di emergenza erano esaurite e Roma Termini ha perso il controllo operativo: treni fermi, informazioni assenti, flussi interrotti. Le cifre sono impressionanti: 1.165 treni coinvolti, 69.267 minuti di ritardo (59 minuti di ritardo medio), 680 soppressioni e 31 deviazioni. Il nodo di Roma si ferma. L’Art parla senza mezzi termini di “gravissima perturbazione del traffico ferroviario”, con impatti su tutta la rete nazionale. Ma per capire cosa è successo bisogna riavvolgere il nastro e leggere la ricostruzione dell’authority.
Il guasto
La ricostruzione della dinamiche prende le mosse dal guasto avvenuto all’1.20 tra il primo e 2 ottobre scorsi: quella notte si sono svolti lavori nei pressi della stazione di Roma Termini, “durante i quali è stata danneggiata una linea elettrica che alimentava la cabina di media e bassa tensione di tale stazione”. Da questo momento in poi si susseguono una serie di eventi che Art ricostruisce così: il danneggiamento si è verificato alle ore 1:30 e, non appena è stato rilevato, l’impresa responsabile ha avvisato il personale di scorta di Rfi, cheche ha poi trasmesso l’informazione alle competenti strutture del Gestore; queste ultime sono intervenute, disalimentando la terna Acea di alimentazione della cabina della stazione di Roma Termini, scrive Art nel provvedimento. “Tuttavia – prosegue Art – si era venuto a determinare il blocco permanente della logica all’interno della cabina, che ha inibito l’alimentazione a bassa tensione verso l’impianto di Roma Termini”. E qui poi a cascata il cortocircuito con la mancata attivazione del gruppo elettrogeno. Ma la circolazione nella stazione di Roma Termini “è stata temporaneamente garantita dalle batterie” finché “anche queste ultime non hanno esaurito la loro efficienza alle ore 6:20”. Quando avviene la disalimentazione degli impianti tecnologici e Termini va in blackout. E’ in quella circostanza, alle 6.20, scrive Art, che interviene il personale riparando il guasto, in termini tecnici “chiudendo l’evento alla 9:15, sebbene i suoi effetti residui abbiano continuato a impattare sul servizio ferroviario fino al tardo pomeriggio”.
L’istruttoria
Nel provvedimento viene tentuta in considerazione anche la posizione del gruppo Fs e in particolare l’intervista dell’ad Donnarumma rilasciata a La Repubblica il 20 febbraio scorso. Fs dal canto suo aveva verificato che “l’intervento sul posto dei tecnici di Rfi non ha rilevato la presenza del blocco della logica all’interno della cabina di media e bassa tensione della stazione di Roma Termini, che avrebbe potuto essere rimosso soltanto con un intervento manuale” e che “non era presente un sistema di allarme della centralina di alimentazione di bassa tensione della stazione di Roma Termini”. Infine che “l‘attivazione delle batterie Ups non è stata oggetto di segnalazione a causa del guasto del relativo sistema di allarme”.
La decisione
Alla luce di tutti gli atti, le dichiarazioni e le ricostruzioni, per Art “sembra emergere, anche rispetto al ruolo e alle responsabilità del gestore dell’infrastruttura ferroviaria nazionale, l’inadeguatezza delle misure adottate da Rfi per la prevenzione e gestione di una siffatta emergenza e delle relative cause, stante la mancanza di allarmi idonei ad allertare il personale della Società di eventuali disalimentazioni e l’omessa effettuazione di idonee verifiche della corretta funzionalità degli impianti”. Ragione per cui sembrerebbero venuti meno i presupposti delle normali condizioni di operatività. Per altro, rileva Art, “solo a seguito dell’emergenza in parola, la Società ha irrobustito il sistema di allarme”, con nuove procedure operative che “che prevedono, in caso di guasti, una verifica in loco pure in assenza di ulteriori allarmi”. E’ quindi “configurabile una violazione della disciplina relativa all’accesso ed all’utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria di cui all’articolo 37, comma 14, lettera a), del decreto legislativo 15 luglio 2015, n. 112, atteso che, alla luce del gravissimo impatto che l’emergenza del 2 ottobre 2024 ha avuto sulla circolazione ferroviaria, risulta che Rfi non ha posto in essere misure idonee a garantire l’esercizio e la manutenzione dell’infrastruttura in maniera da assicurarne l’accessibilità e la funzionalità”.
Fonte: Il Sole 24 Ore