Bochner, Boetti e Fontana in mostra a Cold Spring

“Non lavoro su commissione. Se ho voglia di fare una cosa, la faccio, e se non la voglio fare, non la faccio”. Le parole di Mel Bochner, durante un incontro sotto la luce della luna e del Jewish Museum diversi anni fa, trovano libertà e coerenza nella mostra Bochner Boetti Fontana, fino ad aprile a Cold Spring, nella valle dell’Hudson.

Magazzino Italian Art

Lo spazio sembra un posto di fate e incantatori: si chiama Magazzino Italian Art. Bochner, al centro dello sviluppo dell’Arte Concettuale a New York tra gli anni Sessanta/Settanta, si lega alle sensibilità di Alighiero Boetti e Lucio Fontana per segno, linguaggio, materiale, fino a penetrare il senso, il dopo qui e ora dell’Arte Povera e dello Spazialismo, di cui Magazzino è custode senza dogane (la collezione comprende, tra gli altri, Zorio, Anselmo, Merz, Pistoletto).

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L’arte dell’Atlantico viaggia in parallelo a quella del dopoguerra italiano, nelle fenditure lasciate dall’Espressionismo astratto. Curata da Bochner, la mostra segna anche il passaggio da quella che è stata la prima joint exhibition di lavori di Boetti-Bochner (introdotta, nel febbraio 2016, in Verba Volant Scripta Manent presso TOTAH, New York) ad una planimetria più estesa e preziosa, segno del lavoro svolto dai due fondatori di Magazzino, Nancy Olnick, newyorker, e Giorgio Spanu, nato in Sardegna, “appassionati sostenitori d’arte e architettura”, e dal direttore Vittorio Calabrese.

Olnick e Spanu

Olnick e Spanu collezionano le opere-radice dell’Arte Povera dagli anni Sessanta (“l’ultimo movimento di avanguardia del Ventesimo secolo”, sottolineano). Si sono trovati a metà strada tra Willem de Kooning, Joseph Albers e Robert Rauschenberg, dalla famiglia di agenti immobiliari di Olnick, e le ricerche sull’arte europea, in particolare Paul Klee e Jean Dubuffet, da parte di Spanu. La gola dell’Hudson è una tavola rotonda apparecchiata per due. La città, piena di riffe, bancarelle, pani, pomodori e uova. Nella lobby ci accoglie la reinterpretazione della bandiera italiana di Pistoletto, fatta di Stracci italiani (2007). La struttura è un potente insieme di forme spaziali, soffitti altissimi e gallerie che ricordano un bompresso arrangiato ad anello, montato a prua di questa nave-deposito immersa nel verde urbano, tra paglia, ciuchi, ferrovie, e disegnata dall’architetto spagnolo Miguel Quismondo.

A poco più di un’ora di macchina da New York

Il magazzino si trova a poco più di un’ora di macchina da New York. La sua ideazione risale al 2014; tre anni dopo sarà trasformato da edificio industriale a museo, simbolo del social distancing prima della riapertura del MoMA, grazie a un hardware chiamato EGOpro Active Tag, portato al collo dai visitatori che ricevono vibrazioni se, per imprudenza, superano i 6 piedi (1,8 metri) di distanza dalle altre persone. Magazzino dirige per la prima volta le sue mire alla triade Bochner-Boetti-Fontana mettendo a dialogo dipinti, sculture e installazioni, tra cui opere dell’archivio personale di Bochner. Il loro modo di lavorare, pensato nell’ottica di abbattere i confini, di impoverirne le ambizioni e le mappe, ci consegna coinvolgimenti speciali tra Boetti e Fontana, come Meditation on the Theorem of Pythagoras (1972/1993) con il vetro soffiato dai maestri vetrai di Murano, recuperato nello studio di Fontana a Milano, Language Is Not Transparent (1970/2019), un lavoro basato su un testo in italiano-inglese sull’importanza della parola scritta secondo Bochner e Boetti, e Yiskor (For the Jews of Rome) (1993), (s)composta da una coperta dell’esercito americano e stecche di fiammifero spente che richiamano l’uso dei materiali poveri.

Fonte: Il Sole 24 Ore