
Cambiamenti climatici, la Cassazione legittima il processo a Eni, Mef e Cdp
La questione climatica irrompe nelle aule di giustizia con due decisioni sull’asse Roma-L’Aja, prese a distanza di poche ore, destinate verosimilmente a orientare la giurisprudenza dei prossimi anni.
Le Sezioni unite civili della Cassazione (sentenza 20381/2025 depositata il 21 luglio) hanno riconosciuto la giurisdizione dei tribunali ordinari in tema di danno da cambiamento climatico – legittimando sia il ruolo di associazioni rappresentative di interessi come Greenpeace ma anche quello di singoli cittadini – mentre la Corte internazionale di giustizia dell’Aia (Corte suprema dell’Onu) ha affermato che i Paesi devono rispettare i propri obblighi climatici e il mancato rispetto apre la strada a contenziosi internazionali (con altri Paesi) per il risarcimento da danno al clima.
Il caso italiano
Greenpeace e altri 12 cittadini avevano citato, davanti al Tribunale di Roma, Eni, il ministero dell’Economia e delle Finanze e la Cassa Depositi e Prestiti, per «inottemperanza» agli obblighi di raggiungimento degli obiettivi climatici «internazionalmente riconosciuti» e per la responsabilità per i danni patrimoniali e non patrimoniali provocati dal cambiamento climatico, chiedendo la condanna di Eni alla limitazione delle emissioni annuali di CO2 «derivante dalle attività industriali e commerciali e dai prodotti per il trasporto dell’energia da essa venduti», e chiedendo inoltre la condanna del Ministero e della Cassa all’adozione di policy operative per definire e monitorare gli obiettivi climatici di Eni. Ministero e Cassa depositi e prestiti sono stati citati non in quanto amministrazioni/enti pubblici, ma nella qualità di azionisti della ex impresa statale.
Secondo i ricorrenti le tre parti convenute a giudizio hanno sostanzialmente violato gli obblighi giuridici nascenti dalla Convenzione quadro dell’Onu sui cambiamenti climatici, entrata in vigore il 21 marzo 1994; dall’Accordo di Copenaghen del 2009, che ha fissato al di sotto di 2° l’aumento globale della temperatura necessario per raggiungere l’obiettivo; dagli Accordi di Cancun del 2016, sui tagli alle emissioni globali di gas serra; dalla risoluzione 10/4 del 2009 del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, secondo cui il cambiamento climatico è una minaccia per i diritti umani per chi si trova in posizioni vulnerabili; l’Accordo di Parigi del 12 dicembre 2015 (legge 4 novembre 2016, n. 204); e infine dagli impegni assunti nelle Conferenze di Glasgow e Sharm el-Sheik, e dal rapporto di sintesi AR6 dell’Intergovernmental Panel on Climate Change del marzo 2023.
Agli atti della domanda, Eni è individuata come responsabile dello 0,6% delle emissioni industriali globali e di emissioni di gas serra per 419 milioni di tonnellate di CO2 nel 2022, e pur vincolata dal codice etico a rispettare l’Accordo di Parigi, «ha adottato una strategia non in linea con le indicazioni della comunità scientifica», dotandosi di un piano di decarbonizzazione al 2050 che «contempla una riduzione delle emissioni di appena il 35% entro il 2030». Da qui, il lamentato danno da «lesione del diritto alla vita ed al rispetto della vita privata e famigliare» e dall’altro, ai doveri d’intervento previsti dalle fonti internazionali in tema di contrasto.
Fonte: Il Sole 24 Ore