Cambio di clima, piano fermo così condannati all’emergenza

Cambio di clima, piano fermo così condannati all’emergenza

Nel 2023 è stato introdotto in Italia il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc), che rappresenta lo strumento di riferimento per affrontare la crescente fragilità del territorio italiano di fronte agli effetti del cambiamento climatico. Il suo obiettivo è, sulla carta, ridurre le vulnerabilità, aumentare la resilienza e garantire una gestione sostenibile delle risorse, con ricadute dirette sulla sicurezza dei cittadini, sulla tutela degli ecosistemi e sul patrimonio culturale ed economico. Sulla carta perché il Piano presenta ancora ampi margini di miglioramento, a cominciare dalla sua applicazione. Alcune regioni – come Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto – hanno sì già avviato iniziative legislative sul clima ma il quadro nazionale resta complesso e multiforme. Necessario, inoltre, rafforzare l’integrazione e la comunicazione a livello nazionale, così da favorire una più ampia diffusione delle buone pratiche e una traduzione sempre più concreta delle linee di indirizzo. E che sia urgente applicare il Pnacc lo dicono bene i dati Ispra: le regioni più colpite – Emilia-Romagna, Toscana, Campania, Veneto, Lombardia e Liguria – sperimentano con frequenza eventi estremi che si fanno sempre più intensi e devastanti.

Gli effetti del cambiamento climatico

Il cambiamento climatico amplifica la vulnerabilità. In Europa la temperatura è aumentata più del doppio rispetto alla media globale, con un incremento degli eventi meteorologici estremi: dai circa 300 registrati nel 2022 si è passati a 351 nel 2024, con un ulteriore +31% nei primi sei mesi del 2025. Il riscaldamento del clima porta piogge brevi e intense alternate a siccità prolungate, fusione dei ghiacciai, erosione costiera e innalzamento del mare. Tutti fenomeni che accrescono il rischio di frane, alluvioni e colate detritiche. In questo contesto, senza un’applicazione decisa del Pnacc, l’Italia rischia di vivere in una condizione di emergenza permanente. A differenza dei terremoti, che si possono fronteggiare con costruzioni antisismiche, contro frane e alluvioni l’unica vera strategia resta non esporsi: prevenire, proteggere e, quando necessario, spostarsi dalle aree più pericolose.

Misure e interventi

Il Pnacc infatti classifica le azioni di adattamento distinguendo tra misure sistemiche e misure di indirizzo. Le prime riguardano governance, conoscenze e monitoraggio, oltre all’integrazione dell’adattamento nelle politiche. Le seconde comprendono un catalogo di 361 azioni nei diversi settori (acqua, coste, agricoltura, salute, insediamenti urbani, eccetera). Accanto a questa distinzione, nel dibattito italiano resta utile anche quella fra interventi strutturali e non strutturali: i primi riguardano opere di difesa e consolidamento, da attuare in chiave preventiva e non speculativa, evitando nuove costruzioni in aree fragili; i secondi includono l’aggiornamento delle mappe di pericolosità, i sistemi di monitoraggio, la diffusione della cultura del rischio, il rafforzamento dei piani comunali di protezione civile, attività di formazione e sensibilizzazione.

In un Paese fortemente antropizzato come l’Italia, urbanizzazione incontrollata, abusivismo e consumo di suolo aggravano i rischi naturali. Per questo il Pnacc sottolinea la necessità di una pianificazione urbanistica sostenibile, capace di promuovere delocalizzazioni e rigenerazioni urbane, con vincoli stringenti per evitare nuove esposizioni. Il monitoraggio costante con strumenti innovativi è un’altra azione chiave: non elimina il pericolo, ma consente di individuare segnali precoci, attivare sistemi di allerta e salvare vite umane.

Fonte: Il Sole 24 Ore