Carcere di Prato, inchiesta per stupri e torture tra detenuti

Carcere di Prato, inchiesta per stupri e torture tra detenuti

Scoperti dalla procura di Prato casi di violenza sessuale tra detenuti nel carcere La Dogaia, in particolare due episodi che la stessa procura definisce “agghiaccianti”. In un caso, risalente a settembre 2023, un detenuto avrebbe violentato ripetutamente il compagno di cella pachistano minacciandolo con un rasoio, mentre in un secondo caso, del gennaio 2020, due detenuti avrebbero torturato e stuprato per giorni un compagno tossicodipendente e omosessuale, alla sua prima esperienza carceraria.

Secondo le indagini, la vittima è stata brutalizzata con mazze, pentole bollenti, pugni e colpi alla testa, costretta a subire rapporti sessuali ripetuti e a vivere in un regime di terrore continuo. Dopo l’incidente probatorio, entrambi i presunti responsabili sono stati rinviati a giudizio e il processo è in fase avanzata. Il procuratore di Prato Luca Tescaroli ha poi richiesto l’intervento del prefetto e del questore di Prato per valutare misure straordinarie di sicurezza e ordine pubblico anche all’esterno della struttura.

Nuove perquisizioni dopo le rivolte di giugno e luglio

In questi giorni, il carcere di Prato è anche al centro di un’altra inchiesta della magistratura che indaga per il delitto di rivolta dopo i disordini all’interno della struttura del 4 giugno e del 5 luglio scorso, che hanno portato a nuove perquisizioni nelle ultime ore. Il fascicolo degli inquirenti ipotizza i reati di resistenza, lesioni e danneggiamenti. Il 5 luglio una decina di detenuti si barricò nella Media Sicurezza tentando di incendiare materiali, brandendo spranghe e cacciaviti e sfondando i cancelli con brande. Servì l’intervento di agenti antisommossa a riportare la calma. Un episodio simile il 4 giugno, quando cinque detenuti, italiani, marocchini e libici, minacciarono gli agenti con “stasera si fa la guerra” o “si muore solo una volta, o noi o voi”.

I magistrati stanno verificando anche alcune “condotte collusive” interne alla struttura e al vaglio ci sarebbe il ruolo di alcuni appartenenti alla polizia penitenziaria mentre è stato chiesto il coinvolgimento del prefetto e del questore per rafforzare la sicurezza anche all’esterno del carcere. Solo nell’ultimo anno – informa con una nota il procuratore Luca Tescaroli – sono stati sequestrati 41 telefoni cellulari, tre schede sim e un router, ma il numero reale di dispositivi utilizzati dai detenuti potrebbe essere ancora più alto.

Fonte: Il Sole 24 Ore