Carlo Pepi, l’esploratore dell’arte a caccia di falsi

Carlo Pepi, l’esploratore dell’arte a caccia di falsi

Carlo Pepi, grande e misconosciuto collezionista, l’artefice e il custode di una delle più straordinarie wunderkammer d’Italia, se n’è andato nella sua Crespina. Era un personaggio pieno di contraddizioni e di fascino. Un eteròclito, fuori dal’Accademia e dai circuiti che contano. L’amore assoluto per l’arte figurativa, in particolare per la pittura e la scultura toscana tra la fine del XIX° e il dopoguerra, animava un fuoco che gli ha impedito di vendere (ma anche di cedere a Fondazioni o Musei) pezzi di una collezione di quasi ventimila opere, raccolte in due santuari dell’arte che pochi hanno avuto la fortuna di conoscere e di visitare: la casa colonica naturalmente posta in via Gioielli in località Poggio al Tesoro e la grande villa in centro a Crespina, nel cuore della campagna pisana. Dove opere degne di musei internazionali (Picasso, Modigliani, Warhol, tutti i suoi Macchiaioli) straripavano, insieme a vecchi articoli, libri cataloghi, dai pavimenti, dai bagni, dai letti e perfino dal frigorifero. Se lo avessero ascoltato, la storia dell’arte avrebbe forse preso una piega diversa.

Le teste di Modigliani

Fu lui, da solo e prima degli altri, a smascherare la celebre (o famigerata) beffa di Livorno nel 1984 che illuse il mondo sulle teste inedite di Modigliani. Poi, di nuovo inascoltato, dal 1991 si interessò a dimostrare la (presunta) autenticità di quelle autentiche, tutt’ora dimenticate e custodite in un caveau, in attesa di tempi migliori. L’ho incontrato in diverse occasioni. Lucido e razionale, più che da quella di Stendhal era attratto da una sorta di versione estetica della sindrome di Munchausen, privilegio offerto a chi sa immaginare prima di vedere. Colto e garbatamente vanitoso, raccontava storie che forse (sicuramente) andavano scremate ma ciò che restava portava in dote una grande quantità di fascinazione. Aveva ottantotto anni ma appariva immortale, sospeso in un tempo che non era più suo. Ma con ogni probabilità non è mai davvero esistito il suo tempo.

 

Pepi era un solitario: ampiamente snobbato da storici dell’arte, critici e collezionisti, ricambiava con piglio toscano, considerando gli “esperti” poco più che arroganti bambini bendati incapaci di cogliere l’anima di un capolavoro. Stava alla larga anche dai mercanti, perché a Pepi i denari servivano per comprare al momento giusto, non per vendere. Lui, che aveva studiato a Pisa l’economia e la matematica, era persuaso di afferrare al volo un falso solo con lo sguardo, attraverso una sorta di visione esoterica fatta di proporzioni geometriche e di metempsicosi con gli artisti che amava, a cominciare da Modigliani e dai Macchiaioli, di cui era tra i maggiori collezionisti al mondo. Con lui, ne erano convinti anche i Tribunali a caccia di falsi in particolare di Modigliani e perfino l’organizzazione l’Art Watch International a New York che lo nominò Direttore della sezione Contraffazione e falsi. Credeva che per arrivare al cuore delle opere fosse necessario conoscere la vita e le storie degli artisti, non quella dell’arte.

Fonte: Il Sole 24 Ore