
Case green, per l’obiettivo 2030 l’Italia ha già fatto metà strada
Un impegno gravoso, ma non insostenibile. Centrare gli obiettivi posti dalla direttiva Case green fino al 2035 costerà una cifra compresa tra i 12 e i 14 miliardi di euro all’anno. Uno sforzo che servirà a mantenere un tasso di ristrutturazione compreso tra l’1,2 e l’1,4% ogni dodici mesi. Ma che avrà un impatto importante in termini di ricadute occupazionali. Solo fino al 2030 il piano, che l’Italia dovrà approvare nella sua versione definitiva entro la fine del 2026, sarà in grado di generare complessivamente oltre 1,3 milioni di posti di lavoro.
Sono alcuni dei risultati della prima ricerca del Centro studi di Fondazione geometri italiani, curata dal Centro Studi Cgia di Mestre e da Studio Sintesi e presentata ieri a Roma alla Camera dei deputati, per analizzare le prospettive e gli impatti della Energy performance of buildings directive (Epbd), meglio nota come direttiva Casa green. Una sfida epocale per il settore, con obiettivi che arrivano fino al 2050, ma anche una grandissima opportunità per tutta la filiera delle costruzioni, a partire proprio dai professionisti tecnici.
A che punto è l’Italia
Una sfida nella quale l’Italia non parte indietro. La stagione del superbonus, criticatissima e difficile da sostenere per i conti pubblici, ha avuto però certamente l’effetto positivo di portare risultati importanti in termini di efficientamento del nostro patrimonio edilizio: per misurare gli obiettivi della direttiva, infatti, i conteggi partono dal 2020, comprendendo anche quanto speso per l’ex 110 per cento. Così, la ricerca spiega che, grazie a lavori di efficientamento energetico realizzati nel periodo 2020-2024, l’Italia ha già raggiunto la riduzione del 9,1% dei consumi.
Rispetto a questo dato bisogna fare un passo indietro. La direttiva impone un taglio dei consumi medi del patrimonio edilizio residenziale pari al 16% al 2030 e al 20-22% al 2035: i paesi membri sono liberi di fissare, con i loro piani di ristrutturazione, le modalità con le quali raggiungeranno questo target. Entro il 2050, poi, il patrimonio edilizio dovrà essere a bassi consumi e a zero emissioni. Rispetto al taglio del 16% previsto entro il 2030, allora, resta un residuo del 6,9 per cento. Siamo già oltre la metà.
Obiettivi e strategie
Ma cosa serve per raggiungere questo obiettivo? Il patrimonio residenziale – ricorda lo studio – si compone di 12,4 milioni di edifici e 35,3 milioni di unità abitative, il 73% delle quali occupate stabilmente. Si tratta di un patrimonio vetusto; sono circa 24 milioni le abitazioni costruite prima del 1980, che rappresentano il 68,3% del patrimonio residenziale totale. Entro il 2030, per completare il lavoro imposto dalla direttiva, bisognerà ristrutturare tre milioni di abitazioni, cioè poco più di 500mila all’anno, con un costo medio di intervento di 28.000 euro. In totale, gli investimenti da attivare sono di 84,8 miliardi di euro, cioè circa 14,1 miliardi all’anno. Una cifra alta, ma non fuori scala per i nostri conti pubblici. Per fare un paragone, l’ecobonus vale ogni anno circa 5,8 miliardi di investimenti, mentre il superbonus ha pesato, solo nel 2023, una cifra ben superiore, pari a circa 40 miliardi di euro.
Fonte: Il Sole 24 Ore