“Joie de vivre” ma anche riflessione al partecipatissimo Tefaf 2025 di Maastricht, si chiude la 38a edizione con oltre 260 gallerie, pesano le minacciate guerre commerciali. Sintetizza Paul…
Fonte: Il Sole 24 Ore
Il teatro d’avanguardia
Ad indagare sulle esperienze teatrali di entrambi gli artisti provvede, invece, la terza sezione del percorso espositivo. Scialoja, forte della esperienza teatrale iniziata negli anni ’40 e protrattasi per decenni, favorisce il contatto di Pascali con il teatro d’avanguardia. Già nel 1950 nella scenografia per il balletto “Ballata senza musica” l’artista romano, che ancora non aveva imboccato la strada dell’Astrattismo, aveva inserito oggetti come scarpe militari, corde, sedie, tele di sacco e casse di imballaggio oltre a pannelli su cui erano applicati dei collage. Il dialogo con Scialoja, impegnato a far conoscere agli allievi la storia del teatro, è certamente all’origine di alcune scelte procedurali di Pascali, che – se nel 1958-1959 esegue bozzetti di costumi per il teatro, come quelli per il “Tristano e Isotta“di Wagner– nei successivi lavori per la pubblicità palesa la sua attitudine performativa, divenendo ad esempio il protagonista di spot di Carosello per Cirio nelle vesti di Pulcinella (1965-1966).
Il mondo animale
È anche un grande interesse per il mondo animale ad accomunare le scelte tematiche dei due artisti, come attesta la quarta sezione dell’esposizione. Se nelle illustrazioni delle poesie del “senso perso” di Scialoja si incontrano balene, giraffe e ghepardi, ragni, nei lavori per la pubblicità di Pascali si affacciano animali esotici e non – orsi, leoni, elefanti, cani, tori, – e nelle sculture realizzate a partire dalla metà degli anni ’60 si incontrano animali di ogni specie, un bestiario fantastico nutrito dalle suggestioni tratte da romanzi di avventure e connotato da toni favolistici e rafforzato dall’ausilio di giochi di parole, che in mostra è rappresentato dai cinque bachi da setola della Fondazione Museo Pino Pascali.
A chiudere il percorso espositivo è l’omaggio degli artisti ai luoghi del Mediterraneo – per Scialoja l’amata Procida dei suoi antenati, frequentata sin dall’infanzia, per Pascali Polignano, la cittadina pugliese di cui è originaria la sua famiglia – rappresentato da due dipinti dell’artista romano – figurativo il primo, astratto il secondo – dedicati all’isola a distanza di vent’anni l’uno dall’altro (1946 e 1966) e dai frame del film “SKMP2” di Luca Patella, tra cui quello in cui Pascali immerso nel mare bacia la testa di una scultura classica.
Il mercato
Dal 2000 l’interesse del mercato per le opere di Pino Pascali è andato crescendo, anche per effetto delle diverse iniziative editoriali ed espositive pubbliche e private che a partire dai primi anni ’80 ne hanno ripercorso la breve ma brillante carriera. Negli ultimi anni diverse sculture sono entrate in prestigiose collezioni, il “Ponte” è arrivato al MoMA di New York, la “Trappola” alla Tate Modern di Londra. Dal 2001 sono passati in asta – tra gli altri – “Mitragliatrice”, “Trofei di caccia”, “Cannone Bella ciao”, “La decapitazione della scultura”, “Confluenze”, “Pelle conciata” e “Dinosauro che emerge”. Il top price per le sculture è stato raggiunto nel 2016 da “Coda di delfino” del 1966 (2.986.018 € con buyer premium), che ha superato “Cannone semovente” (1965) battuto nel 2003a 2.261.232 € con buyer premium, entrambi aggiudicati da Christie’s Londra. Tuttavia nel 2020 all’Italian Sale di Christie’s “Contraerea” (1965), una delle sue sculture più note, valutata 2,5-3,5 milioni di £, è rimasta invenduta. In asta passano a valori da qualche migliaio a 40-50mila euro diffusamente collage e disegni, si attestano invece intorno a 120-150mila € le sculture “Baco da setola”.
Se il “Treno” (1964, latta, olio e catrame su faesite, cm 70 x 320) è stato acquistato dal Museo Pascali con un’operazione di crowdfunding (cui ha collaborato lo stesso proprietario) per 80.000 €, cifra molto inferiore al valore dell’opera, nel 2021 “Bomba” (1964-1965, tecnica mista su legno pressato, cm 8,4 x 23,5) valutata 6.000-8.000 €, è stata ceduta nell’asta online “Mapping Modern and Contemporary Art” di Christie’s per ben 125.000 €, cifra comunque ben lontana dal record assoluto di quasi 3 milioni della “Coda di delfino” alle Italian Sale di Christie’s del 2016, ma tra le aggiudicazioni più alte per Pascali sul mercato italiano.
Fonte: Il Sole 24 Ore
Tra gli altri pezzi di spicco figurano «Due cavalli in riva al mare» di Giorgio de Chirico venduto a 408mila dollari (350-450mila dollari), un’opera su carta di Wassily Kandinsky già nella collezione del Guggenheim Museum di New York (250-350mila dollari) aggiudica però al di sotto della stima a 240mila dollari.
Successo per un’opera di Salvo, «Il mattino», 2009, aggiudicata per 204mila dollari da una stima di 60-80mila dollari). Tra gli artisti ultra contemporanei non spicca «Unspoken Satisfaction», pastello e carboncino su carta di Toyin Ojih Odutola realizzato nel 2018 che si ferma a 300mila dollari. Tre le opere di Andy Warhol ma solo una «Police Car» del 1983 supera, sebbene di poco, la stima massima e viene aggiudicata a 264mila dollari.
In omaggio a Diriyah Art Futures, un hub per la new media art inaugurato a dicembre, l’asta propone anche arte digitale, con «Machine Hallucinations» di Refik Anadol «Mars» (800mila-1,2 milioni di dollari). L’opera, generata dall’intelligenza artificiale, utilizza i dati di un telescopio spaziale per creare paesaggi immaginari mutevoli del pianeta rosso, è stata aggiudicata 900mila dollari (800-1,2 milioni di dollari la stima).
Pionieri dell’arte araba
L’asta ha proposto diversi artisti dell’area che non hanno deluso le attese e hanno segnato prezzi superiori alle stime. Tra le opere offerte una delle immagini più iconiche del mondo dell’arte araba moderna, l’ultimo capolavoro di Louay Kayyali, «Then What?» (stima: 500-700mila dollari) che non ha deluso le attese e ha superato la stima massima raggiungendo 900mila dollari. Questa tela espressiva del 1965 esplora i temi dell’esilio, del trauma e della guerra, in relazione alla condizione dei rifugiati palestinesi. L’opera è stata messa in vendita dalla Samawi Family Collection, Dubai, una delle più grandi e longeve collezioni private di arte moderna e contemporanea araba, iraniana e turca. Dalla stessa collezione proviene l’opera «Blue Trap in a Railroad Station» di Samia Halaby aggiudicata a 384mila dollari (stima 150-200mila dollari), una delle opere più grandi e importanti dell’artista mai presentate all’asta. Nata nel 1936 a Gerusalemme e trasferitasi a Beirut nel 1948, Halaby si è poi trasferita negli Stati Uniti dove è stata la prima donna a insegnare Fine Arts alla Yale School of Arts. Questa opera, una magistrale esplorazione della geometria e della prospettiva, riflette la sua esperienza della luce e del movimento mentre viaggiava regolarmente in treno tra New York e New Haven per insegnare.
In asta «O’ God, Honor Them and Do Not Honor an Enemy Over Them» dipinto di uno dei più importanti artisti moderni dell’Arabia Saudita, Mohammad Al Saleem, aggiudicato a 660mila dollari, valore superiore alle stima massima pari a 250mila dollari. Il dipinto si ispira allo skyline graduale di Riyadh dal deserto, che si fonde con la calligrafia in disegni simili a mosaici sulla superficie. Prolifico scultore, curatore e poeta saudita, Abdulhalim Radwi ha svolto un ruolo cruciale nello sviluppo del modernismo saudita e del suo sguardo sul patrimonio culturale, invocando il proprio racconto del mondo arabo attraverso il cubismo e l’espressionismo. Impregnato dell’atmosfera vivace della città, la sua «Untitled» (stima 150-200mila dollari) del 1984 presenta un gruppo di donne al mercato, con motivi tradizionali che adornano i loro abiti, è stato venduto a 264mila dollari.
Fonte: Il Sole 24 Ore
Gli oggetti sacri incontrano l’arte contemporanea
Le Biennali hanno anche la capacità di offrire una nuova prospettiva sulle opere d’arte, creando un legame tra oggetti storici, l’essenza dell’Islam e il contemporaneo. Per la prima volta, manufatti provenienti da Mecca e Medina sono esposti e tra questi assume un significato particolare l’esposizione del Kiswah, un capolavoro dell’arte islamica, simbolo di profonda devozione ma racconta anche la storia e l’artigianato, offrendo l’opportunità di ammirarne la raffinata tessitura e i ricami in seta, oro e argento. Ogni anno viene realizzato un nuovo Kiswah, quello esposto in Biennale adornava la Sacra Kaaba l’anno scorso.
Otto capolavori sono stati prestati dal Museum of Islamic Art (MIA) del Qatar a testimoniare l’ingegno matematico che caratterizza l’arte islamica e la sua influenza globale. Tra questi, spiccano una spada Talpur, un pugnale Mughal, un manoscritto astronomico Buyid e un globo celeste Mughal. I manufatti non sono solo oggetti storici, ma rappresentano la sofisticata fusione tra scienza, matematica e arte nella cultura islamica.
La Biennale presenta anche i contributi di oltre 30 artisti provenienti dall’Arabia Saudita, dalla regione del Golfo e da altri Pìpaesi, tra cui 29 nuove commissioni. “Questo è un momento incredibile per lo sviluppo culturale in Arabia Saudita”, ha affermato Aya Albakree, direttore generale della Diriyah Biennale Foundation, “stiamo assistendo all’ascesa di molti giovani artisti sauditi, alla crescente attenzione internazionale per gli eventi artistici e a un notevole investimento in infrastrutture a sostegno dei creativi”.
La sezione è curata dall’artista saudita Muhannad Shono, ha rappresentato il Paese alla 59ª edizione della Biennale di Venezia nel 2022, che ha voluto presentare la vivacità della scena contemporanea in Arabia Saudita e non solo, come emerge dai profili di alcuni artisti selezionati. C’è Sarah Mohanna Al Abdali, (Gedda, 1989) tra i primi street artist del Paese. Ha iniziato a dipingere graffiti con lo spray nell’area storica della città per provocare un dibattito, commentando, tra l’altro, l’eccessivo sviluppo della Città Santa. Poi c’è il pakistano Imran Qureshi che ha sviluppato una pratica contemporanea legata alla tradizione dell’arte in miniatura Mughal del XVI secolo. L’artista giustappone foglia d’oro e vernice acrilica rossa per rappresentare il contrasto tra il regno celeste e la vulnerabilità del corpo umano (lavora con Thaddaeus Ropac, in asta i passaggi sono circa 40 e il top price è 39.000 euro nel 2017 da Sotheby’s). Per la Biennale Imran Qureshi ha realizzato un’installazione interattiva site-specific di 450 mq in nylon intrecciato, che collega simbolicamente La Mecca e Madina. Ispirata all’acqua santa della Mecca e alla serenità di Madina, l’opera evoca un’oasi di riflessione e pausa tra le due città sacre. Il design richiama il tradizionale giardino Char Bagh, con un canale d’acqua centrale e spazi verdi. L’installazione rende omaggio all’antica esperienza di Dar El Zubayda, offrendo ai visitatori un luogo di contemplazione e connessione spirituale. Il progetto «Ala Younis Cut Flowers» esplora la storia della coltivazione di fiori a Gaza per l’esportazione sul mercato olandese e getta luce sul ricco patrimonio orticolo della regione e sugli effetti devastanti delle restrizioni imposte all’industria dei fiori recisi di Gaza, riflettendo sulla perdita e sulla resilienza. Non poteva mancare l’artista saudita Ahmed Mater, una delle voci culturali più significative del Paese (le sue opere sono state offerte all’asta più volte, con prezzi di realizzazione compresi tra 3.938 e 241.000 dollari, a seconda delle dimensioni e del supporto dell’opera, in Italia lavora con Galleria Continua). La vivacità creativa degli artisti contemporanei sauditi è ulteriormente affermata da un’altra donna: Manal Al Dowayan, che ha rappresentato l’Arabia Saudita alla Biennale di Venezia del 2024. Il suo lavoro spazia dalla fotografia al suono e alla scultura, indagando sulle tradizioni, sulle memorie collettive e, soprattutto, sulla rappresentazione della donna in Arabia Saudita (da Sabrina Amrani, Madrid, foto a partire da 10mila dollari e installazioni da 7mila dollari). Infine, all’interno dei padiglioni della Biennale l’opera di Nour Jaouda (Libano, 1997) esplora memoria, luogo e appartenenza attraverso opere tessili e sculture ispirate alla sua vita tra Libia, Cairo e Londra. Le sue grandi composizioni tessili, realizzate con stoffe decostruite e tinte con pigmenti naturali, presentano motivi geometrici, botanici e umani. Le sue sculture in metallo evocano elementi architettonici, riflettendo la mobilità culturale e la resilienza. Per l’artista, il colore è un mezzo fisico che porta con sé memoria e significato, intrecciando i paesaggi della sua esistenza nomade. Ha partecipato all’ultima edizione della Biennale di Venezia invitata da Adriano Pedrosa nella mostra principale all’Arsenale.
Le industrie italiane a Gedda
Se l’unico artista italiano presente a Gedda è Arcangelo Sassolino, invitato dal curatore Muhannad Shono durante un incontro alla 59ª Esposizione Internazionale di Arte a Venezia, dove Shono rappresentava l’Arabia Saudita e Sassolino il Padiglione di Malta, sono diverse le aziende che hanno partecipato alla realizzazione della Biennale fornendo la loro expertise. L’imponente installazione «Memory of becoming» commissionata dalla Diriyah Biennale Foundation è il frutto della collaborazione dell’artista con una società manifatturiera del nord-est d’Italia, distretto industriale delle piccole e medie imprese manifatturiere, Lanaro Srl attiva nella produzione di costruzioni metalliche dall’alto contenuto tecnologico. Per l’opera di Sassolino l’azienda vicentina ha messo a punto un meccanismo attraverso il quale un olio industriale ad alta viscosità aderisce alla superficie del disco in precario equilibrio, se la rotazione si arresta, la composizione collassa. L’azienda vicentina, che a fine 2023 ha realizzato un fatturato pari a 9,6 milioni di euro, un utile di 594mila euro e ha un organico di 45 persone, ha già realizzato altre collaborazioni con realtà museali e tra queste ha realizzato tre statue dell’artista contemporaneo Francis Upritchard, per l’esposizione permanente al Sydney Modern Art Museum.
Sempre nell’ambito delle eccellenze italiane, un’altra azienda presente alla Biennale è Goppion Technology con le sue teche museali e vetrine espositive che custodiscono alcune delle opere d’arte più preziose al mondo, dai gioielli della Corona d’Inghilterra nella Torre di Londra, la Gioconda di Leonardo da Vinci, la Porta del Paradiso di Lorenzo Ghiberti, il cartone della Scuola di Atene di Raffaello, la Pietà Rondanini di Michelangelo, i Rotoli del Mar Morto, la Dichiarazione di Indipendenza americana, la Bibbia di Gutenberg e molte altre opere di ineguagliabile valore. “Siamo una sorta di crocevia tra la tradizione meccanica lombarda con il design e la passione per la storia; abbiamo messo insieme questi aspetti e l’approdo naturale sono i musei” spiega Alessandro Goppion, presidente e amministratore delegato dell’azienda che oggi fattura il 97% all’estero, di cui il 60% negli Usa e il 20% in Arabia Saudita, dove sono presenti dal 2013. Negli Uae stanno collaborando con lo studio Foster al completamento delle sale espositive dello Zayed National Museum nel Saadiyat Island Cultural District che sarà inaugurato il prossimo anno. Per fine anno il fatturato della Goppion Technology è atteso nell’ordine di 38 milioni di euro tutto generato dalla crescita organica.
Fonte: Il Sole 24 Ore
In vita Medardo Rosso non aveva avuto un mercante di riferimento e, anche in questo caso, si era occupato personalmente delle vendite a collezionisti e i musei in tutta Europa. “Pur vivendo nella Parigi di Manet, Renoir, Degas, che era suo amico e l’aveva aiutato al suo arrivo nella capitale francese (Degas, infatti, parlava italiano, avendo parenti napoletani), non ha mai avuto i mercanti come gli altri artisti, perché era uno spirito assolutamente ribelle, quindi, non avrebbe mai accettato avere delle condizioni per produrre la sua opera” così Daniela Marsure. “Lo faceva quando lo sentiva, quando l’aveva in mente, coi suoi tempi e solo quando entrava in unione intellettuale e in un rapporto di fiducia con l’acquirente. Aveva molti collezionisti direttori di musei a quale si presentava lui personalmente, infatti, ha viaggiato tantissimo nel Nord Europa, mentre in Italia non è stato riconosciuto fino al 1911 quando Soffici gli fa una mostra a Firenze”. Già nel 1986 è entrato nella collezione del South Kensington Museum a Londra (attuale Victoria and Albert), poi a Dresda (1901), Essen (1902), Lipsia (1903), Parigi (1907), solo nel 1913 nella Galleria nazionale di Arte Moderna di Roma, l’anno dopo a Ca’ Pesaro a Venezia e nel 1921 a Palazzo Pitti a Firenze. “Sapeva di essere in anticipo sui tempi, per cui a volte teneva nascoste le sue opere. Quando Clemenceau, presidente del governo francese, nei primi di Novecento, volle acquistare due sue opere, Rosso gli disse che erano troppo avanzate e, in effetti, vennero messe nei magazzini”.
La storia del mercato
Dopo la morte, il figlio Francesco si occupa del lascito e fonda il museo di Barzio in una casa ristrutturata con l’aiuto di Piero Portaluppi. Inoltre, regala tantissime opere alla Gnam di Roma, alla GAM di Milano, fa mostre in Italia, a Parigi. Quando muore, nel 1956, si blocca tutto. Sua moglie e sua figlia non si occupano della promozione di Rosso, anzi, rifiutano qualsiasi richiesta di prestito persino a Margaret Scolari Barr, storica dell’arte e moglie del direttore del MoMA Alfred Barr, che pubblica una monografia in inglese su Rosso nei primi anni 60 e fa una mostra al MoMA. Affidano l’archivio a Luciano Caramel e in questo periodo il mercato viene inondato dalle copie. Nel 1990, alla morte della figlia di Francesco, nonna di Daniela Marsure, subentra quest’ultima, che inizia un lavoro di studio e di riordino dei documenti e di accreditamento del museo. Nel 2009, con la pubblicazione del catalogo ragionato, c’è stata la svolta. Il museo stesso si occupa oggi delle autenticazioni grazie ad un comitato scientifico, ma ci sono ancora tante copie in circolazione.
In galleria
Nei primi anni 90 ha iniziato ad occuparsi di Rosso anche la galleria Amedeo Porro Fine Arts, con sedi a Lugano e Londra. “Rosso è stato sempre presente nei musei italiani e in alcuni internazionali, ma poco ricercato dal collezionismo privato e non capivo il perché” ha affermato Porro. “In America, Giappone e Germania c’è sempre stato interesse, quindi, già dalla metà degli anni 90 ho iniziato un rapporto di collaborazione con la galleria Peter Freeman a New York per aprire la strada all’America. Abbiamo fatto mostre e pubblicazioni per tirare fuori Rosso dall’anonimato e farlo conoscere ai privati”.
Oltre alla questione delle copie, ci sono anche produzioni successive alla sua morte, ma riconosciute. “C’è da distinguere la produzione del figlio Francesco” spiega Porro, “che ha prodotto opere del padre quando richieste, per esempio, dai musei, e quella dell’avvocato Vianello-Chiodo, che ha assistito Rosso negli ultimi anni di vita, per cui Rosso, come ringraziamento, gli ha dato un gruppo di sei gessi dei quali lui aveva il permesso di fare le fusioni. Ma questi due filoni sono entrambi riconosciuti come opere di Medardo Rosso, seppure con valori commerciali diversi: circa la metà quelle del figlio e circa un terzo quelle dell’avvocato. Oggi c’è poco materiale disponibile: su 252 opere catalogate, 134 sono nei musei. Quindi, solo 118 sul mercato, di cui una parte in collezioni private, altre distrutte e molte date come collocazione sconosciuta. Un corpus, quindi, molto esiguo per soddisfare una richiesta sempre più elevata”.
La valorizzazione sul mercato
I prezzi in questi venti anni sono quintuplicati. Per i capolavori si arriva al milione di euro, 400-500mila per le opere medie e 50-100mila per quelle minori, a seconda del soggetto, della tecnica, dello stato di conservazione. Ma i soggetti importanti oramai sono introvabili. “Le ultime due versioni della ’Dame a la Voilette’ in commercio sono state da me vendute al MoMA e a Rotterdam”, così Porro. “L’Ecce Puer è un altro soggetto fondamentale ma introvabile, ce ne saranno due in commercio, ma in Italia e notificate. Questo è un altro fattore che non aiuta la valorizzazione, perché non permette la circolazione internazionale delle opere importanti e ne danneggia la visibilità e il mercato”.
Fonte: Il Sole 24 Ore
In concomitanza all’approvazione della Legge di bilancio 2025, è stato varato il Decreto Cultura (DL 27 dicembre 2024, n. 201), definito dal Ministro della Cultura Alessandro Giuli come “un primo passo per rispondere alle esigenze della catena del valore della cultura”. Nonostante i pesanti tagli previsti per il Ministero della Cultura dalla Manovra finanziaria, il Decreto Cultura segna un traguardo importante per il neo-ministro, che porta a casa l’approvazione di una misura che riflette la sua visione strategica per il settore. Le misure previste dal Decreto, che vanno dalla rigenerazione delle periferie all’accesso alle biblioteche, fino alla cooperazione internazionale, trattano temi cruciali per la politica culturale del paese, eppure più che un programma concreto, l’atto sembra un vademecum politico. Tralasciando il giudizio sui contenuti, è importante sottolineare come tali azioni di pianificazione e visione strutturale, che avrebbero dovuto trovare spazio nella Legge di bilancio, vengono invece inserite in un decreto legge, giustificate da una “straordinaria necessità e urgenza”, per poter accedere ai fondi di riserva previsti per situazioni eccezionali.
Nonostante la stabilità della maggioranza, l’attuale Governo ha utilizzato frequentemente questa procedura, con una media di quasi 3,5 decreti legge al mese. Di questa tendenza a far legge tramite decretazione d’urgenza, che altera il sistema delle fonti e distorce l’iter legislativo classico e garantista, non è esente il settore culturale come dimostra, appunto, l’adozione del Decreto Cultura, che attribuisce carattere di urgenza a una serie di previsioni portanti per la politica culturale del paese e che, quindi, avrebbero dovuto trovare collocazione nella Manovra finanziaria, accompagnate da stanziamenti adeguati. In una situazione già preoccupante, segnata dalla carenza di fondi e di una visione chiara, che paralizza il settore culturale da tempo, solleva più di una domanda il fatto che il finanziamento di biblioteche, librerie, editoria e istituzioni avvenga tramite decretazione d’urgenza, facendo ricorso, come si diceva, a fondi speciali, e non attraverso un piano pluriennale adeguatamente finanziato, frutto di una visione condivisa sul ruolo fondamentale di questo settore per il nostro paese.
Piano Olivetti e Piano Mattei, come vi finanzio?
L’urgenza e la necessità dello strumento scelto, mal si sposa con la lettera del provvedimento, che mette in piedi due pianificazioni strategiche a lungo termine. La prima delle due, il Piano Olivetti (Art. 1), ispirato alla visione innovativa dell’industriale di Ivrea, Adriano Olivetti, guida la visione degli articoli successivi, svolgendo il ruolo di contenitore per eventuali futuri stanziamenti. Il Piano, che avrebbe dovuto attingere a piene mani dall’accantonamento relativo al MiC nei “Fondi di riserva e speciali” della missione “Fondi da ripartire” dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze (MEF) per il triennio 2024-2026 sarà finanziato, invece, “nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente, con uno o più decreti del Ministro della Cultura”. A Bilancio vigente, come si diceva, non sono stati previsti stanziamenti per la realizzazione di questo Piano e, pertanto, non è chiaro da dove verranno attinti tali risorse. Ciò che è certo è che l’istituzione dell’Unità di missione temporanea da 3 milioni di euro, inizialmente prevista, è stata, invece, soppressa.
Il secondo dei due piani, il Piano Mattei, che deve il nome all’imprenditore, partigiano e politico Enrico Mattei, è un progetto di diplomazia e di investimenti verso il continente africano, già varato lo scorso anno, e che in questo Decreto ritrova la sua dimensione culturale. Il Piano prevede l’istituzione di una Unità di missione, alle dirette dipendenze dell’ufficio di Gabinetto del MiC, con funzioni di progettazione, impulso, coordinamento e controllo di progetti e interventi di cooperazione culturale con Stati e Organizzazioni Internazionali africane, anche in raccordo con la struttura di missione della Presidenza del Consiglio per e con il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Il DL prevede il finanziamento della sola Unità e non dei vari progetti con uno stanziamento di 866.069 euro annui per 2025, 2026, 2027 e 2028 mediante riduzione delle proiezioni dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2024-2026, nell’ambito del programma “Fondi di riserva e speciali” del MEF, che chiameremo di seguito “Fondo speciale di parte corrente”.
Supporto straordinario alla filiera del Libro
Il confronto tra la filiera del libro e il MiC andava avanti da qualche mese e i fondi destinati al comparto erano stati annunciati dal ministro Alessandro Giuli già in occasione del suo insediamento. Nello specifico, in attuazione del Piano Olivetti, all’art.3 del Decreto Cultura, sono previsti 30 milioni di euro per biblioteche ed enti di promozione della cultura libraria e archivistica beneficiari di contributi statali. Le risorse saranno distribuite in 24,8 milioni per il 2025 e 5,2 milioni per il 2026 e destinate all’acquisto di libri fisici e digitali. Ulteriori 4 milioni di euro, stanziati per il 2024, già concluso, favoriranno l’apertura di nuove librerie gestite da giovani fino a 35 anni. In aggiunta, al fine di potenziare l’offerta culturale dei quotidiani cartacei, attraverso il rafforzamento delle pagine dedicate a cultura, spettacolo e settore audiovisivo, viene istituito un fondo sperimentale con una dotazione di 10 milioni di euro per l’anno 2025, da ripartire nello stato di previsione della spesa del Ministero della Cultura. Come si legge dal Decreto, questi fondi risulteranno dalla riduzione delle proiezioni dello stanziamento del citato “Fondo speciale di parte corrente”.
Fondi di riserva e speciali di parte corrente
In risposta alla richiesta di chiarimento da parte di Arteconomy sulla provenienza dei fondi utilizzati per il finanziamento del Decreto Cultura, i portavoce del MiC hanno indicato quelli previsti dalla “Tabella A (“Fondo speciale di parte corrente”, ndr) e Tabella B (“Fondo speciale di conto capitale”, ndr) per il 2025”. Tuttavia, dal Decreto, si evince che i prelievi previsti ricadono esclusivamente sulla Tabella A, allegata al Bilancio vigente 2025, la quale dispone un accantonamento per il MiC pari a 42,6 milioni di euro. A norma dell’articolo 21 della L. 196/2009, questi fondi speciali di parte corrente sono destinati alla copertura dei provvedimenti legislativi compresi nel bilancio pluriennale e, in particolare, di quelli correlati al perseguimento degli obiettivi indicati nel DEF per l’anno fiscale. I prelievi dall’accantonamento in Tabella A, previsti dal Decreto Cultura, come si evince dalla Tabella 1, lasciano ben pochi fondi (4,4 mln) in caso di reale stato d’emergenza. Inoltre, l’accantonamento previsto per il MiC risulta già gravato da prelievi pluriennali fissi stabiliti da precedenti decreti legge ancora in vigore. Tra questi, figurano le spese per un dirigente di livello generale, due dirigenti di livello non generale e 25 ulteriori posizioni dirigenziali presso soprintendenze, biblioteche e archivi, per un costo complessivo di 3,59 milioni di euro annui dal 2020. Pertanto, si può sostenere che, al 1 gennaio 2025, i “Fondi di riserva e speciali di parte corrente”, che prevedono una copertura per misure emergenziali per tutto l’anno fiscale, siano esauriti.
Fonte: Il Sole 24 Ore
Cristina Fresia, amministratore delegato di Fresia Alluminio, voleva un’opera d’arte per la sua azienda, un quadro 30 x 30 cm nel suo ufficio di rappresentanza? No! Molto meglio, un immenso wall drawing di 1.050 m2, creato da Ugo Nespolo, a coprire la facciata dell’headquarter a Volpiano in provincia di Torino.
Nel 2019 la Fondazione Louis Vuitton dedica a Charlotte Perriand (1903-1999), architetta e designer francese dal forte spirito innovatore, la mostra «Le Monde Nouveau de Charlotte Perriand», dove è esposta anche «la Maison au Bord de l’eau», una casetta a filo d’acqua progettata nel 1934. Ora quell’abitazione visionaria non si trova in un parco sculture di Austin o San Paolo ma sul tetto di un capannone di Segrate, proprietà della Sice Previt: azienda di costruzioni e di arredamento, con un grande know how tecnico che ha prima fisicamente realizzato la maison basandosi sui disegni originali dell’artista e poi l’ha acquisita.
Via Milano a Brescia è da sempre la via più multietnica della città, qui sorgeva una fabbrica di climatizzatori, una volta dismessa è stata riqualificata trasformandola nel Teatro Bossoni, e proprio di fronte al teatro, in dialogo con la comunità, troverà casa l’opera di arte pubblica vincitrice del Premio Life Art a cura di Valentina Ciarallo, possibile grazie al sostegno di A2A.
Un binomio vincente
Questi episodi raccontano il binomio arte e impresa, e le grandi possibilità in cui si manifesta. Un fenomeno in ascesa spinto anche dal fatto che gli investimenti in campo artistico possono far parte del Bilancio Esg che a partire da quest’anno è obbligatorio rendicontare per le imprese quotate e di pubblico interesse con più di 500 persone e 25 milioni di euro di stato patrimoniale o 50 milioni di ricavi netti.
Nel 2024 anche grandi associazioni d’impresa si sono occupate della questione in modo sistematico. Confindustria, che tra l’altro, nella sede di Viale dell’Astronomia vanta un parcheggio mosaicato opera di Giuseppe Capogrossi, ha commissionato, attraverso il suo Gruppo Tecnico Cultura, un libro che raccontasse le corporate art collection italiane, raccogliendone 57 ne «Il Segno dell’arte nelle imprese» a cura di Ilaria Bonacossa e edito da Marsilio Arte. Aidaf ha, invece, lanciato il progetto «Produrre Futuro» per facilitare l’approccio con l’arte ai propri associati: un’azienda sceglie un giovane artista italiano supportata dalla project manager Eleonora De Blasio. Le prime produzioni vedranno la luce in primavera e, probabilmente, una mostra collettiva le raggrupperà tutte in autunno.
Fonte: Il Sole 24 Ore
Un altro nome si aggiunge alla lista – invero non troppo lunga – dei galleristi internazionali che hanno scelto di puntare sul nostro paese, quello dell’austriaco Thaddaeus Ropac, che aprirà una galleria a Milano il prossimo autunno a Palazzo Belgioioso. Gli ambienti sono già ben noti ai collezionisti e frequentatori del mondo dell’arte, infatti, hanno ospitato già Massimo De Carlo per due anni a partire dal 2020 e poi, per altri due anni, dall’aprile 2022 allo scorso dicembre, Javier Peres.
In Italia per far crescere gli artisti
Si spera ora che la permanenza del gallerista austriaco sia duratura. La decisione è stata calibrata. “Abbiamo riflettuto a lungo sull’idea di aprire in Italia” ha commentato Thaddaeus Ropac al telefono da Parigi. “Rappresentiamo i nostri artisti a Parigi, Londra, Salisburgo e in Corea, mancava l’Italia. Da tanti anni i nostri artisti sono presenti alla Biennale di Venezia e in altre mostre importanti in istituzioni italiane, abbiamo coltivato relazioni strette non solo nella città lagunare, ma anche a Roma e in altri luoghi. Nella scelta della destinazione per la nuova galleria ci è apparso chiaro che dovesse essere Milano per il suo dinamismo, sia nel passato che oggi”.
L’Italia è vista dalla galleria come crocevia del continente europeo, che ha plasmato l’evoluzione dell’arte nel corso dei secoli e dove sono nati importanti movimenti artistici, ma anche luogo in cui gli artisti della galleria sono stati ispirati, hanno avuto proficue relazioni e hanno realizzato importanti mostre istituzionali, tra cui negli ultimi anni quella di Baselitz alle Gallerie dell’Accademia, di Beuys a Palazzo Cini, di Sylvie Fleury alla Pinacoteca Agnelli, solo per nominarne qualcuna. Un’altra è già in programma, quella di Rauschenberg al Museo del Novecento di Milano, che in occasione del suo centenario viene messo in dialogo con i maestri italiani del XX secolo dalla collezione.
Parlando di arte italiana, la galleria già dal 2004 rappresenta la Fondazione Emilio Vedova, artista che ha intessuto stretti rapporti con un altro storico artista di Ropac: Georg Baselitz, che ha uno studio a Imperia. Un altro importantissimo artista della galleria, Beuys, è stato strettamente legato a Torino, Napoli, Roma e Milano. Anselm Kiefer è l’autore della gigantesca installazione permanente all’Hangar Bicocca, creata nel 2004 in occasione dell’inaugurazione dell’istituzione. Nel 2017, inoltre, Ropac ha dedicato nella sua galleria di Londra una mostra a Medardo Rosso.
Alla guida della galleria ci sarà Elena Bonanno di Linguaglossa, già senior director da Lévy Gorvy Dayan, con esperienza nella cura di mostre presso Arter a Istanbul, i Giardini di Boboli e Bardini a Firenze, la Galleria Borghese a Roma, il Museo d’Arte Moderna di Bologna e Villa Panza a Varese. In passato ha ricoperto ruoli di leadership anche presso la Fondazione Pastifico Cerere, Albion Gallery, Haunch of Venison e Blain|Southern.
Fonte: Il Sole 24 Ore
Che cosa ha in serbo il mondo dell’arte per il 2025? Come ogni anno, tra dicembre e gennaio, piovono gli annunci di grandi mostre e aperture di nuovi musei nei mesi a venire. E nonostante i tagli alla cultura a livello pubblico e le difficoltà dei musei statali, non solo in Italia ma anche all’estero, il paesaggio museale riesce ancora, fortunatamente, ad arricchirsi di nuove iniziative, che nascono spesso grazie a finanziamenti privati, soprattutto dal settore immobiliare. Ma non mancano anche le chiusure.
Arte e mondo immobiliare
Per esempio, a Praga nel palazzo barocco Savarin, restaurato dal gruppo immobiliare ceco Crestyl, apre a gennaio il nuovo Mucha Museum per rendere tributo al maestro dell’Art Nouveau Alphonse Mucha (1860-1939). A lungo sottovalutato durante il regime comunista, il museo mira a riscrivere la sua storia e mettere in luce la sua influenza a livello internazionale. C’è dietro la Fondazione Mucha, istituita nel 1992 dal nipote John Mucha e dalla nuora Geraldine Thomsen Mucha. Da allora l’ente ha organizzato più di 90 mostre in tutto il mondo, di cui alcune in corso in Giappone e negli Usa.
Arte e mondo immobiliare anche a Lisbona, dove apre il prossimo 22 marzo il MACAM – Museu de Arte Contemporânea Armando Martins, dal nome del fondatore negli anni 90 del Grupo Fibeira, attivo in ambito immobiliare, alberghiero e dei servizi. Collezionista dall’età di 18 anni, intende mostrare la sua raccolta di più di 600 opere d’arte portoghese e internazionale dal 1800 a oggi. Il format è del tutto particolare e dimostra come arte, lusso e ospitalità siano sempre più legati. Si tratta, infatti, di un museo-hotel a cinque stelle con 64 camere nel settecentesco Palácio Condes da Ribeira Grande, 13mila m2 di cui 2mila di spazio espositivo, opere sparse in tutti gli ambienti, su progetto architettonico dello studio portoghese MetroUrbe.
Riaperture ed espansioni
Nato dalla ricchezza derivata dal settore immobiliare anche il MACAAL – Museum of African Contemporary Art Al Maaden a Marrakech, promosso dalla Fondation Alliances del gruppo immobiliare marocchino Groupe Alliance, che in questo caso riapre. Infatti, il museo, presieduto da Othman Lazraq, figlio del fondatore del gruppo, Alami Lazraq, da cui ha ereditato anche la passione per il collezionismo, è nato nel 2016, ma ora si arricchisce di spazi per espore a rotazione più di 150 opere dalla collezione d’arte africana, internazionale e della diaspora appartenente alla famiglia con un patrimonio complessivo di 2.500 opere.
A New York ci saranno diverse riaperture: la Frick Collection inaugura ad aprile dopo un intervento costato 290 milioni di dollari, firmato da Selldorf Architects, mentre a maggio riaprirà al Metropolitan l’ala Michael C. Rockefeller, chiusa dal 2021, per mostrare oggetti e opere dall’Africa, dall’America precoloniale e dall’Oceania. In autunno riaprirà lo Studio Museum di Harlem a New York, punto di riferimento per l’arte afro-americana, chiuso dal 2018. Il nuovo edificio, progettato dall’archistar David Adjaye, è costato 300 milioni di dollari.
Anche il New Museum inaugurerà in autunno uno spettacolare nuovo edificio accanto a quello attuale, su progetto di Rem Koolhaas e Shohei Shigematsu per un costo di 82 milioni di dollari. Verso la fine dell’anno anche al Portland Art Museum inaugurerà un’espansione da 111 milioni di dollari, nella quale si rinuncerà alle gerarchie espositive tradizionali per favorire presentazioni tematiche che mettono al centro la comunità e l’identità locali.
Fonte: Il Sole 24 Ore
Qual è stato l’approccio curatoriale?
Collaborativo tra le istituzioni internazionali che hanno contribuito a rendere possibile in armonia la complessità di un progetto così collettivo. La sezione iniziale Albedaia ‘Inizio’ si concentra sulla spiritualità, con reliquie e oggetti sacri in dialogo con progetti contemporanei. L’idea qui, qualunque sia la fede e la confessione, è di avere una sensazione di spiritualità. Per i musulmani, il significato è particolarmente profondo grazie alla presenza di oggetti provenienti dalle moschee sacre della Mecca e di Medina, tuttavia, anche i non musulmani possono vivere un’esperienza viscerale e spirituale che tocca cuore e anima. La seconda sezione si chiama Al-Madar ‘Orbita’, dedicata all’arte dei numeri, ed esplora come l’umanità abbia sviluppato il concetto di calcolo, permettendo progressi in campi come astronomia, commercio, musica e design, mettendo in evidenzia il contributo dei numeri arabi alla civiltà globale.
La celebrazioni delle due collezioni private è nella sezione Al-Muqtani (Omaggio), ed espone opere dell’epoca omayyade ai Safavidi e Moghul, della Collezione Al-Thani, e la Collezione Forsea Art, creata da Rifaat Sheikh El Ard, oggetti cavallereschi medievali, ceramiche, metalli, manoscritti e tessuti per riflettere sul dialogo culturale e sugli scambi storici, come quelli tra crociati e civiltà islamiche. È un omaggio al gusto estetico e al coraggio di condividere queste raccolte con il mondo. Da questa galleria le persone escono ed entrano negli spazi esterni sotto le tende del complesso del terminal Hajj nella sezione ‘Canopies’ che si dedica al tema del giardino nella civiltà islamica, come simbolo di paradiso, contemplazione e trasformazione. I giardini islamici, spesso configurati in modo simmetrico (charbagh), sono visti come luoghi di meditazione, incontro e conoscenza. La sezione include anche due padiglioni: uno dedicato alla Mecca e uno a Medina, che offrono ai visitatori, musulmani e non, un’esperienza per comprendere il significato spirituale e culturale di questi luoghi santi, con opere e oggetti legati al pellegrinaggio. Infine, la Biennale propone Al-Musalah, un concorso per progettare una moschea contemporanea, radicata nei valori tradizionali ma con un’architettura moderna, a testimonianza dell’equilibrio tra innovazione e spiritualità che caratterizza l’evento.
La Biennale rappresenta quindi un’opportunità per esplorare e comprendere la cultura e la civiltà islamica attraverso le opere d’arte e il contesto della fede?
La Biennale rappresenta da un lato un’opportunità per il mondo islamico di valorizzare la propria cultura e mostrare i capolavori della sua civiltà, ispirando sia i musulmani a riscoprire la grandezza artistica della loro tradizione, sia i non musulmani a comprenderne la complessità. Non si limita agli oggetti devozionali, ma include opere che riflettono vita quotidiana e tradizioni. L’idea di esplorare la cultura attraverso la fede non è nuova, come dimostrano musei e luoghi storici dedicati ad altre religioni, esperienze culturali che aiutano a comprendere civiltà e sistemi di credenze nel loro contesto spirituale. Inoltre, credo che l’aspetto più significativo sia che l’Islam e la cultura dell’Islam, fino a poco tempo fa, sono stati principalmente spiegati e presentati in un contesto museale occidentale da curatori di musei o accademici, principalmente di origine occidentale. Il Met, il Louvre, il V&A, il British Museum, il Museo islamico di Berlino. È qui che andiamo per capire l’Islam, per conoscere la civiltà islamica. La Biennale delle Arti Islamiche, in un certo senso, offre – e il team è molto eterogeneo, non siamo tutti musulmani – al mondo islamico l’opportunità di spiegare la propria cultura.
Quale tipologia di pubblico vi aspettate?
La Biennale è stata progettata per attrarre un pubblico diversificato, la popolazione di Jeddah ai pellegrini provenienti da tutto il mondo, studiosi e collezionisti. Quando abbiamo concepito la Biennale e l’offerta artistica abbiamo pensato consapevolmente ai diversi pubblici che sarebbero arrivati. L’anno scorso, o meglio nella prima edizione, l’hanno visitata quasi 600.000 persone. Quest’anno speriamo di raggiungere un milione di visitatori.
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Fonte: Il Sole 24 Ore