Nel panorama del diritto internazionale, però, la legislazione specificamente dedicata alle madri è scarsa e poco riconosciuta. Ma i singoli Stati offrono maggiori tutele e garanzie sui diritti alle madri con le loro legislazioni interne? La risposta anche in questo caso è negativa dal momento che le madri non vengono riconosciute come gruppo specifico di soggetti con diritti propri. E naturalmente l’Italia non fa eccezione.
La natalità continua a scendere
Tuttavia, l’attenzione non può che essere alta su un dato demografico che fotografa una tendenza così come una crescente difficoltà: il gelo delle nuove nascite. Secondo gli ultimi dati Istat, nel 2024 la fecondità è scesa ancora toccando quota 1,18 figli per donna superando il minimo di 1,19 del 1995, anno nel quale sono nati comunque 526mila bambini contro i 370mila del 2024. In diminuzione anche le nascite di bambini di cittadinanza straniera, che sono il 13,5% del totale: nel 2024 sono stati sono quasi 50mila, circa 1.500 in meno rispetto all’anno precedente.
Dal lavoro al diritto di scelta
Al 10 maggio manca ancora il decreto attuativo per il bonus mamme dedicato alle lavoratrici dipendenti e autonome con due figli e un Isee sotto a 40mila euro. Certo una volta che sarà operativo saranno riconosciuti gli arretrati, ma intanto le famiglie hanno dovuto coprire i fabbisogni economici di questi mesi con le loro risorse. Il ritardo di questa misura rende esplicito il collocamento della maternità nelle priorità politiche, in un Paese ancora fanalino di coda in Europa per il tasso di occupazione femminile nonostante il lento miglioramento degli ultimi anni che lo ha portato al record di 53,5% (quando gli obiettivi di Lisbona indicavano il 60% entro il 2010).
Il lavoro, quindi, resta uno dei fattori centrali su cui fare leva affinché la maternità possa essere vissuta in maniera costruttiva dalle donne e non solo come un sacrificio di opportunità o una scelta obbligata. Ma non basta: «Da un punto di vista giuridico è fondamentale e importantissimo il focus sulle norme del diritto del lavoro e, anzi, c’è ancora moltissimo da fare. Ma il riconoscimento effettivo dei diritti delle madri passa anche attraverso molto altro», sottolinea la professoressa Panforti, a partire dalla possibilità di scegliere concretamente e liberamente se essere madre o meno. In Italia, infatti, l’obiezione di coscienza da parte dei medici è oltre quota 60%, secondo l’ultima pubblicazione dei dati da parte del ministero della Salute che di anno in anno arriva sempre più in ritardo rispetto alle tempistiche definite dalla legge.
Dalla scelta alla vita familiare. «Non dimentichiamo – aggiunge Panforti – che sul fronte del diritto civile siamo partiti da una situazione di totale svantaggio della donna nella posizione del marito così come dei figli e i riflessi e gli strascichi di quella impostazione li vediamo ancora, per esempio nella gestione operativa dei beni della famiglia o in tema successorio». Un retaggio che si vede anche nelle parole: anche il linguaggio, dice Panforti, andrebbe modificato, a partire da quello delle norme che ancora, in questo campo, non rispecchiano i reali passi avanti e assetti della società attuale. Basti pensare, cita la professoressa, alla dicitura «buon padre di famiglia», che ancora ricorre e viene citato in talune sentenze. Ma anche nella mancanza ancora di una legge che riconosca la possibilità dell’uso del cognome materno per i figli. Ad oggi le coppie possono decidere se dare al figlio il cognome della madre, del padre o di entrambi e in che ordine non perché esista una normativa, ma in seguito a una sentenza del 27 aprile 2022 della Corte costituzionale definisce illegittime, perché discriminatorie e lesive dell’identità del figlio, le norme del Codice civile (articolo 262) che attribuiscono al figlio di una coppia il cognome del padre in modo automatico.
Fonte: Il Sole 24 Ore