Cedu, in Italia violenza domestica sottovalutata

Cedu, in Italia violenza domestica sottovalutata

Ripetute richieste di protezione da parte di una donna vittima di violenza domestica per mano del compagno e inerzia delle autorità competenti che non hanno effettuato un’attenta valutazione del rischio. Inevitabile la condanna all’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo che, nella sentenza depositata il 23 settembre (ricorso 6045/24), ha accertato la violazione degli articoli 3 della Convenzione europea, che vieta i trattamenti inumani o degradanti e 8, che assicura il diritto al rispetto della vita privata e familiare. Per la Corte, la circostanza che il giudice nazionale abbia classificato atti come molestie, aggressioni, telefonate incessanti, controllo del telefono e telecamere nell’abitazione, come «semplici dispetti» che rientravano nel contesto della separazione, ha impedito un’effettiva tutela della vittima.

La vicenda

A rivolgersi a Strasburgo è stata una donna che aveva subito violenze psicologiche, economiche e fisiche da parte del compagno dal quale si stava separando. L’uomo aveva anche installato delle telecamere in casa e controllato la posta elettronica. Malgrado le denunce e l’azione civile, non era stato emesso l’ordine di protezione e l’uomo era stato poi assolto in sede penale.

L’orientamento di Strasburgo

Strasburgo ha non solo accolto il ricorso e condannato lo Stato a versare 15mila euro per danni morali e 10mila per le spese processuali, ma anche messo in luce gli stereotipi di genere ancora presenti anche nelle aule di giustizia. Le autorità nazionali avrebbero dovuto conoscere i rischi reali e immediati legati alle violenze commesse dal compagno in modo ricorrente e, quindi, adottare misure adeguate a proteggere la donna. È vero che, a seguito delle denunce, era stata aperta un’inchiesta, ma il procedimento giudiziario che aveva portato all’assoluzione era durato quattro anni. Sul punto la Corte evidenzia che le misure investigative erano state inadeguate e l’indagine non rapida, compromettendo una effettiva tutela giudiziaria. I ritardi, poi, nei casi di violenza domestica, hanno come conseguenza l’aggravamento della vulnerabilità della vittima.

L’impatto degli stereotipi di genere

 La Corte europea stigmatizza poi quanto avvenuto nelle aule di giustizia perché, malgrado la constatazione di comportamenti molesti e aggressivi, l’uomo era stato quasi giustificato a causa del risentimento dovuto alla separazione e alle tensioni per l’affidamento del figlio. Il tribunale, nonostante la presentazione di un certificato medico, non aveva creduto alla ricostruzione della donna. Così, per la Corte europea il tribunale nazionale non ha mostrato alcuna consapevolezza delle caratteristiche dei casi di violenza domestica anche perché non ha agito secondo la diligenza dovuta.

Fonte: Il Sole 24 Ore