
Centrosinistra, perché la manifestazione anti-Nato di Conte segna un solco con il Pd di cui approfitterà Meloni
Uno: «Dare segnali oggi di apertura nei confronti di Vladimir Putin mentre Kiev è sotto le bombe e proprio quando l’Europa dovrebbe serrare le fila nel supporto all’Ucraina è sbagliato» (qui il riferimento è al passaggio della risoluzione del M5s presentata alla Camera in cui si chiede di «non escludere a priori e pro futuro una possibile collaborazione con la Russia» sulla fornitura del gas, passaggio su cui il Pd e financo Avs hanno votato contro) Due: «C’è anche una manifestazione anti Nato del M5S con altri movimenti ma attenzione, perché alcuni di quei movimenti sono filo Putin. Quindi quando Conte precisa di non essere filo Putin ne prendo atto, ma anche i compagni di strada devono corrispondere» (e qui il riferimento è al contro-vertice Nato organizzato all’Aia dal leader del M5s Giuseppe Conte assieme a vari partiti della sinistra euroscettica e al partito rossobruno della tedesca Sahra Wagenknecht).
La manifestazione anti-Nato e il warning di Gentiloni: attenzione ai filo Putin
In effetti è un inedito assoluto vedere un ex premier (e Conte lo è stato per più di tre anni la scorsa legislatura) organizzare una manifestazione di protesta contro un vertice della Nato. Eppure tra i dirigenti del Pd l’unica voce che si leva con forza nei media mentre l’evento è in corso è quella di un altro ex premier, Paolo Gentiloni, che ha fatto parte della Commissione Ursula dal 2018 al 2024 come responsabile dell’Economia. Dopo il voto contrario a Montecitorio alla mozione “filoputiniana” degli alleati del campo largo, infatti, l’ordine di scuderia partito da Largo del Nazareno è quello di non sottolineare le posizioni di Conte e di non commentare né attaccare: «Lui vive delle nostre polemiche». Far finta di nulla, dunque, almeno finché si può. Per non rompere i rapporti con il principale alleato alla vigilia di un’importante tornata di regionali (in autunno si vota in Veneto, Toscana, Marche Campania e Puglia), ma anche perché la segretaria del Pd Elly Schlein teme un drenaggio di voti dal Pd al M5s nel bacino “pacifista”.
Il j’accuse di Pina Picierno: quello di Conte è populismo d’accatto
La speranza di sottofondo è che il leader pentastellato faccia il suo gioco di competition interno alla coalizione ma alla fine, quando cioè sarà il momento di costruire la coalizione, si ravveda. Ma fuor di taccuino tra i dem le ultime posizioni di Conte, non più solo contro il Piano di riarmo Ue targato Ursula von der Leyen ma addirittura anti Nato e pro Putin, hanno seminato sconcerto. «La pace non è un disimpegno imbelle – dice al sole 24 Ore l’eurodeputata ultra-riformista Pina Picierno -. Non significa pensare di autoassolversi imbastendo contro-manifestazioni per dire che la Nato è brutta e cattiva: la sinistra capace di governare ai vertici internazionali sta dentro, a negoziare, e non davanti ai cancelli. Quella non è cultura di governo, ma populismo d’accatto».
Più lontana l’alternativa: i due pesi e le due misure di Meloni
Di certo se la posizione di Conte resterà anche in futuro questa, ossia contro il rafforzamento della Difesa europea e contro la Nato, non si vede come il Pd possa costruire una coalizione credibile per l’alternativa al governo Meloni. E la prima a rendersene conto è la stessa premier, che non a caso usa due pesi e due misure con i partiti d’opposizione nel tentativo di scavare ancora di più il fisso: da una parte bacchetta e pungola Conte ricordandogli che fu proprio lui a siglare l’accordo Nato per l’aumento della spesa al 2% del Pil («firmare impegni e non rispettarli non è il mio modo di fare»), dall’altra apprezza gli interventi in Aula dei riformisti Graziano Delrio e Alessandro Alfieri, critici sulle modalità ma non sul riarmo europeo in sé, e risponde in modo puntuale.
Il rischio di perdere il legame col Pse per non perdere quello col M5s
E Schlein, che il giorno delle bombe Usa sull’Iran ha tenuto una postura bipartisan telefonando a Meloni? La linea del non spezzare il filo dell’alleanza con il M5s ha fin qui prodotto un risultato a metà: a favore della Difesa comune Ue ma contro il riarmo dei singoli Stati (e senza chiarire come si possa costruire una vera Difesa Ue senza maggiore spesa). Ossia una posizione che distingue il Pd all’interno della stessa famiglia dei Socialisti europei, visto che anche il premier spagnolo Pedro Sanchez tanto citato da Schlein è favorevole al cosiddetto Piano Ursula e discute piuttosto del come e del quanto. Il rischio per il Pd, nato come sinistra di governo, è che per non andare contro Conte e per “inseguire” la stessa fetta di elettorato si ritrovi più sulle posizioni del gruppo Left, fuori dal governo europeo, che su quelle del Pse («e qui non si tratta di perdere il treno per il governo, ma di perdere proprio l’anima», nota più di un riformista).
Fonte: Il Sole 24 Ore