Come emozioni difficili e empowerment plasmano il benessere globale
La ricerca svolta da Gallup “State of the World’s Emotional Health 2025”, basata su più di 145.000 interviste in 144 paesi del mondo, non lascia molto spazio all’interpretazione. Il 40% degli adulti in tutto il mondo ha riferito di trovarsi, per gran parte della giornata, in uno stato di preoccupazione e più di un terzo ha dichiarato di sentirsi costantemente stressato. Rispetto a dieci anni fa, oggi sono centinaia di milioni in più le persone che provano queste emozioni. Invitandovi a leggere il report che trovate online, potremmo riassumere e semplificare il tutto affermando che siamo più infelici e ansiosi. L’aumento globale dell’infelicità nell’ultimo decennio è stato ben documentato, ma possiamo affermare che leader e decisori, più o meno in ogni ambito e di ogni livello, lo abbiano trascurato. La tendenza e tentazione, infatti, di affidarsi, quasi esclusivamente, ad indicatori economici “di benessere” hanno avuto la conseguenza di ignorare quasi del tutto la salute emotiva propria e delle persone, in generale. Questa preferenza prospettica rappresenta, ad oggi, una disattenzione cruciale perché le emozioni difficili (preferisco questa definizione invece che negative, perché sappiamo quanto quest’ultima declinazione rappresenti un eccesso di semplificazione, al limite del pericoloso) non riflettono solo angoscia ed agitazione, ma restringono la visione e la capacità di focus delle persone e minano la loro capacità di affrontare le difficoltà. Quando questi sentimenti diventano cronici, rendono gli individui e le società più vulnerabili all’instabilità. Tuttavia, non tutti provano queste emozioni allo stesso modo; le differenze di genere ed età rivelano chi porta i fardelli più pesanti e dove le pressioni sul benessere siano maggiori.
A livello globale, le donne riferiscono di provare una maggiore tristezza, carico emotivo, preoccupazione e anche disagio fisico. I giovani adulti provano più rabbia, mentre gli adulti over 50 sopportano meglio questo tipo di stress. Gli anziani, invece, gestiscono meglio la tristezza, che diventa spesso rassegnazione. A questo punto, potremmo chiederci se ci siano dei segnali di vita di emozioni facilitanti e favorevoli da qualche parte. Ebbene sì, e il dato è molto interessante. Sempre nella stessa ricerca, Gallup ha chiesto a adulti di tutto il mondo (secondo le numeriche viste in precedenza) se avessero provato delle emozioni/sensazioni positive e l’88% ha dichiarato di aver apprezzato di essere stato trattato con rispetto e con attenzione, dato in aumento di tre punti rispetto al 2023 e tra i livelli più alti mai registrati da Gallup; mentre il 52% ha affermato di aver imparato o fatto qualcosa di interessante nel periodo precedente, una percentuale anche in crescita. Sembra, quindi che, sebbene la condizione globale ci faccia scuotere e tremare dentro, le esperienze positive si dimostrino più resilienti di quelle disagevoli. Risulta, infatti, che le emozioni cosiddette positive amplino la consapevolezza e aiutino le persone a costruire risorse durature, come strategie di coping, relazioni fiduciarie e resilienza, che alimentano ulteriormente le esperienze positive. Queste fondamenta più profonde rendono le esperienze positive più difficili da abbandonare, anche in situazioni di crisi, mentre le emozioni disagevoli ci fanno reagire più bruscamente all’instabilità.
Sempre in questi giorni, ho avito modo di consultare la rilevazione 2023-2024 su “adolescenti e vita emotiva” tra generazione Z e generazione Alpha, a cura di V. Iori, E. Marta, A.M, Ellena, S. Martinez-Damia, professori ed esperti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. I risultati di questo osservatorio, ci raccontano di ragazzi che vivono “un disagio e malessere emotivo connotati da rabbia, paura, insicurezza, vergogna, il senso del fallimento e ambivalenti rapporti nella partecipazione sociale, nella percezione di mattering scolastico e un senso di antimattering societario”.
Siamo di fronte a due generazioni che devono attrezzarsi per i cambiamenti sociali in atto nel nostro tempo, attraverso la conoscenza e l’introiezione di modelli efficaci ed esempi da seguire con fiducia. Pena il rischio di far crescere ragazzi e ragazze che possono solo che adattarsi passivamente e in modo rinunciatario ad uno status quo in cui gli adulti appaiono lontani e impegnati costantemente su altri fronti, in primis, a sopravvivere loro stessi.
Ecco che anche in questa ricerca, emerge una chiave di svolta e riscatto che segue in parallelo quanto visto in precedenza nel rapporto Gallup. Laddove, infatti, ci sia empowerment “delle e nelle relazioni”, in un framework di rispetto e di sviluppo positivo, i timori e le incertezze lasciano spazio alla sperimentazione, al coraggio e alla positività. L’empowerment adolescenziale non è distante da quello che sviluppiamo nei programmi di soft skills nelle aziende. Parliamo delle stesse competenze di gestione di sé, della propria motivazione, dell’autoefficacia personale e della realizzazione del proprio scopo. Questa assonanza intergenerazionale mi porta a dire che, ad oggi, chi ha la possibilità di partecipare all’interno della propria organizzazione a percorsi di consapevolezza del proprio stile relazionale, delle competenze trasversali e di intelligenza emotiva ha l’occasione non solo di trovare nuovi strumenti e chiavi di senso per il proprio sviluppo personale e professionale, ma può essere, altresì, un modello per i propri figli e le proprie figlie, per amici, vicini di casa e via così. Non sarà un caso, infatti, che i dati di redemption interaziendali delle attività di learning (faccio riferimento al numero di partecipanti a workshop, webinar, sessioni e-learning) attinenti ad argomenti legati alla sostenibilità, al benessere, all’ambito psico-sociale e della salute mentale siano notevolmente più alti di quelli legati alle competenze hard verticali. Questa tendenza sta rendendo esplicito un bisogno sempre maggiore di approfondimenti puntuali, aggiornati e di qualità, messi a disposizione da professionisti accreditati e capaci di trasferire in modo semplice, ma non banale, contenuti complessi, ma importanti per tutti noi. Come persone, come professionisti e come cittadini del mondo.
Fonte: Il Sole 24 Ore