come gestire delusione e resilienza

come gestire delusione e resilienza

In una chiave evolutiva, sappiamo che le ferite, quando curate ed elaborate, rappresentano momenti di grande crescita a tutti i livelli, anche delle nostre competenze di leadership e manageriali. In primis verso noi stessi. Tuttavia, in un momento in cui le parole vulnerabilità e fragilità iniziano a comparire sempre più spesso nei programmi di sviluppo personale e professionale nelle organizzazioni, il rischio di usare la “one fits for all” strategy è molto alto. Faccio riferimento, ad esempio, alla resilienza, risorsa che ci fa recuperare la nostra forza e identità nei momenti di crisi. Se riuscire a performare bene anche in momenti difficili, può essere il risultato di una allenata resilienza alla fatica e allo stress, mi è impossibile non osservare che, spesso, il buttarsi nel fare le cose in cui riusciamo può rappresentare invece una fuga. Fuggo da quello che provo, me ne lascio solo sfiorare … e via con “l’hic et nunc”. Perché la resilienza bisogna mostrarla subito, eh! È una sorta di bottone accendi/spegni. Risultato? Tutto torna e così, altrettanto spesso, ci ritroviamo ad affrontare i medesimi bivi, gli stessi problemi con abiti un po’ diversi, ma di base espressione di atteggiamenti e modi di pensare profondi e radicati. Essere resilienti significa, invece, andare fino in fondo, continuare a nuotare pur avendo il cuore a pezzi e sapendo di averlo.

Il valore dell’autenticità

Recentemente, in un corso per giovani leader sul tema della valutazione delle risorse, una manager ci dice “se una delle mie persone, anche se un talento, piangesse di fronte ad un feedback severo o per l’eccessivo stress, vorrebbe dire che è immaturo, che non è ancora pronto”. L’ho detto a lei e lo scrivo qui: ma siamo sicuri? Veramente le lacrime, in queste situazioni, di fronte al tuo manager o al team rappresentano questo? Oppure, ci potrebbe essere un’altra lettura; una lettura dei tempi che cambiano, che a forza di dire “siate autentici”; “il team con cui lavorate è un luogo dove sentirsi sicuri”; “da noi cerchiamo di coltivare la sicurezza psicologica”, le persone lo prendono sul serio e lo fanno, sfidando ortodossie, condizionamenti, limiti soprattutto nostri?

Volendo allontanarci dalla dimensione profonda e un po’ al limite del lutto e della perdita sentimentale, ma rimanendo nell’area delle sensazioni “scomode”, che dire della delusione? (tuttavia, ricordiamoci che tra i primi e quest’ultima ciò che cambia è l’intensità, forse, ma i circuiti neuro-emotivi sempre quelli sono). Quante volte siamo stati delusi al lavoro, da una scelta, da una nostra performance, da uno sgarbo distratto, da un’esclusione apparentemente ingiusta. La delusione è quella risposta emotiva che nasce quando la realtà non corrisponde alle aspettative. È un sentimento tanto comune, quanto snobbato e che, invece, può avere effetti significativi sul benessere emotivo, mentale e comportamentale.

Vediamone insieme alcuni sintomi emotivi, fisici e cognitivi: tristezza, malinconia, frustrazione, rabbia e risentimento, sfiducia verso gli altri e verso sé stessi; stanchezza o spossatezza, disturbi del sonno, mal di testa o tensione muscolare, cambiamenti nell’appetito; pensieri negativi ricorrenti, difficoltà a concentrarsi, rimuginio sul passato o sulle cause della delusione; isolamento sociale, riluttanza a riprovare o a fare nuove esperienze, calo della motivazione.

La delusione

Gli aspetti che maggiormente danneggiano la dimensione collaborativa e lavorativa, quando siamo delusi, sono la perdita di autostima e di autoefficacia, il timore di affidarsi o aprirsi a qualcuno, l’evitare situazioni che potrebbero causare un’altra delusione, limitando la crescita personale. Capiamo, quindi, quanto la delusione possa alimentare un circolo vizioso di aspettative irrealistiche e successive frustrazioni che in sostanza ci limitano come persone, come professionisti, come amici e come partner ad ogni livello relazionale.

Fonte: Il Sole 24 Ore