come i dazi di Trump influenzano l’export della pasta italiana

come i dazi di Trump influenzano l’export della pasta italiana

Il 6 aprile si festeggia il Carbonara Day, un evento giunto ormai alla nona edizione e che negli anni sta diventando sempre più importante per la promozione del made in Italy nel mondo, non solo della pasta, ma dell’italianità in generale, grazie alla fama internazionale della ricetta, alla vasta copertura social (solo su Instagram sono oltre 2 milioni i contenuti con l’hashtag #Carbonara) e alla partecipazione di chef e personaggi famosi.

Quest’anno l’evento ideato dai pastai di Unione Italiana Food arriva in un momento cruciale per l’agroalimentare italiano, visti i dazi di Trumpdel 20% che naturalmente incombono anche sulla pasta. E si sa, tra l’altro, quanto la carbonara sia amata dagli americani, che non vedono l’ora di ordinarla appena arrivati in Italia (magari assieme a un buon cappuccino). È importante quindi ancora di più riaffermare l’importanza delle origini degli ingredienti e del continuo lavoro su qualità e innovazione portati avanti dai pastai.

L’export negli Usa a rischio

Secondo i dati di Unione Italiana Food, l’Italia esporta oltre il 60% della propria produzione e nel 2024 il valore relativo agli Usa è arrivato a 671 milioni di euro (+14,5% rispetto a 2023) rispetto a un totale di export di circa 2,4 miliardi (+4,8% sul 2023). La pasta vale cioè circa il 16% delle vendite oltreconfine. Con dazi al 20%, una fetta di questo business potrebbe essere a rischio. Nel lungo periodo una conseguenza potrebbe anche essere quella di portare a delocalizzare oltreoceano la produzione delle aziende italiane.
«Potrebbe essere una conseguenza estrema e non ravvicinata che ovviamente non ci auguriamo, e poi una decisione del genere sarebbe praticabile solo da pochi – commenta Cristiano Laurenza, segretario dei pastai Uif -. Quel che è certo è che i produttori sono preoccupati, come del resto sta succedendo in varia misura in tutto l’agroalimentare italiano. Gli americani mangiano 9 chili di pasta a testa l’anno, cifra lontana dai nostri 23, ma da moltiplicare per una popolazione molto più vasta. Negli ultimi anni, inoltre, l’export verso gli Usa è cresciuto più velocemente della media».

«Oltre che l’effetto sui consumi statunitensi – aggiunge Laurenza – ci potrebbero anche essere effetti indiretti, sia sui consumi degli altri Paesi, come la Germania che per noi è molto importante, sia su un possibile effetto generalizzato di aumento delle materie prime. I “controdazi” da parte della Ue potrebbero poi rendere più caro l’import dagli Usa. In Texas e Arizona viene prodotto grano duro di ottima qualità ed è noto che il grano italiano basta solo per il 60-70% della produzione di pasta italiana».

Fonte: Il Sole 24 Ore