Come i social stanno cambiando la definizione di «importante»

Come i social stanno cambiando la definizione di «importante»

Per quanto mi riguarda, nelle ultime settimane mi sono disiscritto da una trentina di newsletter (ne rimangono troppe, ma ci penserò). E sapete come le ho scelte? Semplice, ho eliminato quelle che non avevo mai aperto nemmeno una volta, che mi generavano solo inconsapevole ansia, la famosa FOMO (fear of missing out, chissà cosa mi starò perdendo in queste mail che non apro mai).

Ci sono altri criteri da cui possiamo trarre, se non delle regole, almeno una ispirazione. Cito ancora Hari e il suo L’attenzione rubata, dove identifica con la metafora della luce i diversi livelli di attenzione e concentrazione da riuscire a mantenere vigili. Il primo livello è la luce del riflettore, quella circoscritta che mettiamo in atto per prepararci un caffè o trovare gli occhiali. Il secondo livello è la luce delle stelle, da dedicare agli obiettivi a lungo termine: quando ti senti perso, alza gli occhi alle stelle per ricordare la direzione in cui stai viaggiando. Il terzo livello è la luce del giorno: se non è tutto molto illuminato, come puoi vedere bene cosa ti circonda e mettere a fuoco cosa significa la direzione che con la luce delle stelle avete solo intravisto? Infine, la luce da stadio: “la nostra capacità di vederci l’un l’altro e di lavorare insieme per formulare obiettivi comuni e lottare per raggiungerli”.

In termini micro, se cambia il concetto di importante e facciamo sempre più fatica a monte a decidere cosa lo sia e cosa no (e se facciamo fatica per noi stessi, chissà come facciamo per i nostri interlocutori, che siano colleghi, clienti, collaboratori), c’è forse un’opportunità controintuitiva: invece di investire più tempo per capire cosa è più importante, in modo da indirizzare lì la maggiore qualità, provare a non impazzire, e preferire una qualità (leggermente) più bassa, da poter applicare a più cose. Mi spiego con un esempio mutuato proprio dai social: molti content creator si sono accorti che ha più senso pubblicare frequentemente contenuti brevi, preoccupandosi fino ad un certo punto di capire se è un buon materiale o no, per lasciare che siano poi i follower a decretarne il maggiore o minore successo. Perché allora non pensare a qualcosa di analogo, almeno sulle tante attività routinarie che ciascuno di noi svolge? Certamente non tutte le attività e non tutti i mestieri si prestano: se faccio il vigile urbano, il chirurgo o il pilota di aerei, non è che posso buttarla sulla quantità, e se non tutte funzionano pazienza. Al tempo stesso, rimanendo sulla routine, e soprattutto per chi tende al perfezionismo, inteso come deleteria ossessione verso la qualità, potrebbe essere interessante ridurre il controllo e accettare un livello anche non ottimo; contando sul fatto che se niente è eterno, forse anche buono può andare. Così da riuscire a fare più cose buone, nello stesso tempo in cui farei meno cose ottime.

Potrebbe non bastare, in un mondo in cui qualunque intelligenza artificiale produce un risultato magari solo discreto, ma in pochi centesimi di secondo. Al tempo stesso, fino a che non potremo delegare completamente le routine più time consuming, perché non provarci?

*Partner di Newton Spa

Fonte: Il Sole 24 Ore