
come la tecnologia sta ridefinendo le competenze
“Scusa, ma quel tuo DM mi ha triggerato.”
Vuol dire che il tuo messaggio diretto – su Whatsapp, o Instagram, o Teams… – ha innescato in me una reazione emotiva forte, per via di una comunicazione che ho percepito come aggressiva, o ambigua, o non rispettosa della mia sensibilità. Il discutibile verbo “triggerare” – con derivati come “trigger warning”, l’avviso che dovrebbe precedere il contenuto triggerante… – preso in prestito dalla psicologia dei traumi e passato per il linguaggio dei social, oggi viene usato anche in ambienti aziendali.
Ecco un primo segnale del cambiamento in atto: la sensibilità emotiva è diventata oggetto di conversazione esplicita anche sul lavoro, e si manifesta sia negli ambienti digitali sia in quelli fisici. Ma non solo. Le modalità stesse con cui comunichiamo, collaboriamo e ci relazioniamo sono cambiate radicalmente. In altre parole, le soft skills non sono più quelle di una volta, non perché non servano, ma perché sono cambiate le condizioni che le rendono efficaci.
L’era delle integrated skills
Viviamo in un mondo ad altissima complessità, dove la comunicazione avviene per messaggi vocali, scritti, GIF, emoji, dove le riunioni si svolgono da remoto e dove il lavoro si misura in risultati più che in ore. In questo scenario, le vecchie soft skills, nate in un contesto analogico e lineare, mostrano i loro limiti. La “flessibilità” di una volta – che significava restare un’ora in più in ufficio senza protestare – oggi è diventata la capacità di riprogrammare la propria giornata in tempo reale, gestendo simultaneamente priorità personali e professionali.
Nel contesto attuale – digitale, distribuito, iper-connesso – le competenze relazionali non si esercitano in astratto. Si esercitano dentro ambienti tecnologici complessi. Un manager che non sa negoziare in videochiamata o che non coglie il tono emotivo di un messaggio Teams è tanto inadeguato quanto un architetto che non sa usare Autocad.
Fonte: Il Sole 24 Ore