Come l’AI e l’approccio Agile stanno trasformando le imprese
Non è (ancora) la “fine del lavoro”, come profetizzava Jeremy Rifkin, ma certamente l’inizio di una nuova rivoluzione industriale: quella dell’intelligenza artificiale. Secondo un rapporto del World Economic Forum pubblicato a ottobre, in meno di 5 anni l’86% delle imprese utilizzerà in modo strutturale “AI agents” capaci di gestire attività complesse sotto la supervisione umana. Questa evoluzione è totalmente disruptive rispetto ai modelli precedenti e, pur promettendo enormi guadagni di produttività, stravolge radicalmente gerarchie, competenze e modelli di collaborazione. Più che una sfida tecnologica, è una trasformazione culturale.
Con l’avvento del Covid i modelli organizzativi sono cambiati, trasformando il rapporto culturale con il lavoro (Big Quit, sindrome Yolo, Smart Working, equilibrio vita professionale e privata). Qualcosa di simile era accaduto con l’avvento di Internet o con il personal computer. Ora, con l’AI che entra a gamba tesa in ogni processo aziendale potremmo assistere a qualcosa di ancor più profondo. L’intelligenza artificiale potenzia l’analisi e accelera le decisioni, ma se non integrata correttamente può generare processi paralleli e frammentati. Poiché spesso è utilizzata con approcci destrutturati, casuali e non ufficiali, può alterare gli equilibri interni e creare disallineamento. In sintesi, è disruptive. Per questo è necessario introdurre un nuovo paradigma organizzativo virtuoso. Quello “Agile”.
Le metodologie Agile offrono un approccio adattivo che consente di incorporare l’AI in modo sostenibile e coordinato nei team, nelle decisioni, nelle gerarchie. L’approccio Agile e la figura dell’Agile Coach non sono solo dei facilitatori dei processi, ma mediatori tra intelligenze, umane e artificiali. La sua missione è infatti guidare le persone dal “fare Agile” all’ “essere Agile”: promuovendo fiducia, apprendimento continuo e collaborazione autentica.
Mentre l’AI assume compiti analitici e ripetitivi, le persone dovranno sviluppare competenze emotive, creative e sistemiche. In questo equilibrio, l’etica diventa un pilastro del lavoro agile: sperimentare oltre i confini noti, ma con responsabilità, trasparenza e consapevolezza. L’unione tra agilità e intelligenza artificiale apre la strada a imprese “viventi”, capaci di adattarsi e imparare in tempo reale. L’AI fornisce capacità di analisi e ricerca, l’agilità assicura flessibilità e intelligenza collettiva. Insieme, rendono l’organizzazione un ecosistema in evoluzione continua.
Il contributo creativo dell’AI
Un esempio: in un team creativo ibrido, l’AI partecipa alla sessione come un vero e proprio membro del gruppo. Mentre la parte umana discute di idee e suggestioni, l’AI elabora in tempo reale bozzetti, palette e concept visivi, fornendo spunti, interpretando le conversazioni e anticipando i risultati. L’effetto è un flusso creativo condiviso, dove l’intelligenza artificiale non esegue, ma co-crea partecipando al lavoro “umano”, influenzandolo e, in qualche modo, alterandolo rispetto alle modalità tradizionali. In questi contesti, l’Agile Coach diventa il “traduttore culturale” fra umanità e tecnologia: assicura che linguaggio, processi e apprendimento rimangano accessibili e coerenti per tutti i membri del team. E aiuta anche a gestire la nuova situazione “accelerata”, bilanciando logica e empatia, automazione e senso, ponendo le giuste domande e i giusti perché. In pratica, funge da ponte tra due mondi diversi ma che devono co-creare lo stesso futuro.
Fonte: Il Sole 24 Ore