come le aziende affrontano la salute mentale

come le aziende affrontano la salute mentale

Un dato inconfutabile: dal primo lockdown imposto dalla pandemia di Covid-19, le richieste di supporto psicologico per professionisti e addetti aziendali italiani sono progressivamente aumentate, a causa dell’aumento dello stress, di preoccupazioni economiche o abitative e non in ultimo di timori legati al benessere fisico della persona. Per quanto stia crescendo lentamente l’apertura a parlarne, la salute mentale in ambito lavorativo resta un tema delicato e il fattore “costo” continua a costituire un forte deterrente per agire in questa direzione, con un’età media di soggetti che ricorrono alla terapia in discesa. Le relazioni personali, in linea generale, sono l’ambito più colpito da una salute mentale inadeguata (lo evidenzia il 46% del campione), seguite dalla crescita personale e dall’autostima (il 40%) mentre arriva al 37% la percentuale degli italiani che vedono nel malessere psicologico una minaccia per la carriera. Quanto all’impatto dell’intelligenza artificiale sul settore, i giovani, in particolare, non la temono e, anzi, la vedono come un’alleata del proprio benessere psicologico, con la metà di chi ha un’età compresa tra i 18 e i 29 anni che giudica in maniera positiva gli effetti dell’adozione di questa tecnologia sul miglioramento dell’assistenza alla salute mentale.

La fotografia scattata da Unobravo (una realtà di riferimento in Europa per l’offerta di servizi di supporto psicologico online) con la prima edizione di MINDex, una ricerca approfondita su percezioni e aspettative legate al benessere mentale che ha coinvolto un campione di circa 4mila fra soggetti adulti e professionisti clinici, è abbastanza esplicita circa lo status di questa problematica. Problematica che, numeri alla mano, evidenzia ancora una presenza diffusa di disinformazione e retaggi culturali (solo il 16% degli intervistati percepisce la salute mentale come un tema affrontato apertamente) e che trova riscontro in un dato fra gli altri, secondo il quale il disagio psicologico è visto come un indice di fragilità caratteriale dall’81% degli italiani oggetto di indagine.

La situazione di criticità è tale anche in azienda, ambito nel quale la salute mentale continua a non essere adeguatamente valorizzata, con solo un terzo dei lavoratori che ritiene la propria organizzazione in grado di promuovere un ambiente psicologicamente sano. Quattro lavoratori su dieci (il 42% per la precisione) ammettono invece come il loro datore di lavoro non offra attualmente alcun benefit o supporto specifico per il benessere psicologico dei propri dipendenti. E ancora: sebbene la maggioranza degli intervistati (56%) si senta libera di esprimere emozioni e difficoltà sul lavoro, il 32% si trattiene per paura di sembrare debole o poco professionale e il 12% si sente costretto a “indossare una maschera”. I lavoratori tra i 30 e i 39 anni, dal canto loro, sono i più colpiti da stress e burnout: il 65% di loro ha preso in considerazione l’idea di lasciare il lavoro o lo ha già fatto.

Ma cosa ne pensano esperti e HR manager di questo fenomeno? Il Sole24Ore.com ne ha interpellati alcuni, raccogliendo impressioni utili a capire come e perché le organizzazioni devono porre rimedio a una situazione sicuramente complessa. L’analisi di Danila De Stefano, Ceo di Unobravo, è assai ben circostanziata: «Il benessere psicologico continua a non essere adeguatamente integrato nelle politiche aziendali e se è incoraggiante rilevare come oltre la metà dei lavoratori si senta libera di esprimere emozioni e difficoltà anche all’interno del contesto dell’organizzazione è invece preoccupante il numero ancora significativo di persone che percepiscono un rischio reputazionale nel farlo». Un limite che non può più essere ignorato, secondo la manager, è l’assenza di benefit o di misure di supporto specifiche per la salute mentale mentre il fatto che tanti lavoratori, in particolare nella fascia 30-39 anni, arrivino a valutare le dimissioni per stress e burnout, deve rappresentare un segnale chiaro. «Promuovere ambienti di lavoro psicologicamente sicuri e inclusivi – ha osservato ancora De Stefano – è oggi una responsabilità strategica per le aziende, non solo in ottica di retention e produttività, ma anche di sostenibilità sociale a lungo termine».

Fonte: Il Sole 24 Ore