
Come si distingue un lavoro ben fatto: i requisiti chiave per una performance professionale efficace
Cosa può significare lavorare bene? In altri termini, cosa significa fare bene il proprio lavoro?
La domanda apre a una miriade di risposte possibili, che vanno da quelle più basilari e didascaliche come, ad esempio, svolgere le proprie mansioni previste dal ruolo, rispettare le regole e le persone, raggiungere gli obiettivi e così via a quelle più attuali e di tendenza, che includono anche gli aspetti aspirazionali, di mission personale ecc.
Ne verrebbero fuori risposte, nella migliore delle ipotesi, scontate, e nella peggiore forse retoriche e apparentemente poco compatibili con la realtà.
Se volessimo invece prendere una scorciatoia, basterebbe limitarsi a pensare a tutte quelle situazioni del nostro quotidiano nelle quali di fatto noi entriamo in contatto con persone che stanno lavorando (in aeroporto, dal medico, al supermercato, al telefono con un call center, in banca, al bar ecc.). Ecco, in ognuno dei molteplici momenti cosiddetti della verità (ovvero quelli nei quali si determina la nostra soddisfazione come utenti o consumatori) saremmo perfettamente in grado, in modo intuitivo e certo dalla nostra prospettiva, di discernere il lavoro fatto bene dal lavoro fatto meno bene (o addirittura male).
Il senso della mia riflessione sin qui è molto semplice: spesso, quando si parla di lavoro e di lavori, i più disparati, si corre davvero il rischio di discutere in maniera pericolosamente astratta di competenze, attitudini, ambizioni, interpretazioni quando in realtà sarebbe sufficiente e decisamente molto importante parlare di cosa significhi lavorare BENE, tralasciando quelle situazioni statisticamente meno frequenti (sia positive che negative) anche se, comprensibilmente, più interessanti dal punto di vista mediatico come lo startupper che dal garage conquista il mondo e quindi appassiona oppure il dipendente disonesto che timbra ma non lavora e indigna tutti gli altri.
Fonte: Il Sole 24 Ore