Contributo banche, sul piatto misure per almeno 4 miliardi

Contributo banche, sul piatto misure per almeno 4 miliardi

L’esecutivo scompagina le carte del negoziato con i vertici dell’Associazione bancaria e mette sul tavolo la prospettiva di una tassazione che comporti un pagamento una tantum che non verrà restituito. Una nuova ipotesi di lavoro che dovrebbe camminare di pari passo con l’anticipo di liquidità derivante dal rinvio delle deduzioni per il 2026 e il 2027 (Dta e simili). Il combinato delle due misure dovrebbe garantire, nelle attese del governo, un incasso complessivo di almeno 4 miliardi se non superiore.

La prospettiva dell’introduzione di una nuova tassa non piace alle banche, che temono peraltro l’impatto sulle quotazioni dei titoli In Borsa. Ma le varie fasi di interlocuzione con l’esecutivo, iniziata la mattina con gli incontri assieme alle altre parti sociali, e proseguita con una serie di contatti nel pomeriggio non ha sbloccato l’impasse. D’altro canto per poter discutere con il governo di interventi diversi dall’anticipo di liquidità il dg, Marco Elio Rottigni, doveva chiedere un nuovo mandato al comitato esecutivo. E in ogni caso doveva aggiornare i banchieri sugli sviluppi della giornata di ieri: è per questo motivo che ieri sera il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, ha convocato una riunione straordinaria dell’organismo di vertice dell’Associazione bancaria per le 21.

La tassazione prospettata è relativa alla quota di utili accantonata nel 2023 a patrimonio, accantonamenti fatti per evitare di pagare un’imposta del 40 per cento: l’importo di quelle risorse destinate a rafforzare i requisiti patrimoniali complessivamente è pari a 6,2 miliardi. La proposta che l’esecutivo ha messo sul tavolo dopo il vertice di maggioranza di domenica sera è quella di procedere a un affrancamento delle somme accantonate – quindi la loro liberazione e la possibilità che siano distribuite come dividendi – pagando un’imposizione ridotta rispetto al 40 per cento e pari al 27,5 per cento. In tal caso il gettito che potrebbe entrare nelle casse dello Stato è di 1,7 miliardi. La percentuale potrebbe cambiare ed essere oggetto di negoziato: se si partisse dal 30% l’incasso sarebbe di 1,86 miliardi. L’affrancamento non sarebbe su base volontaria: il governo avrebbe manifestato l’intenzione di introdurre un’imposizione sui dividendi futuri (che scatta in caso di mancato affrancamento) ritenendo che una parte di quelle riserve venga distribuita.

L’ulteriore vantaggio per lo Stato, qualora i 4,5 miliardi residui dopo l’affrancamento fossero interamente distribuiti, sarebbe l’introito dell’imposizione sui dividendi, pari al 26%: 1,17 miliardi l’incasso che ne deriverebbe (1,1 miliardi in caso di imposta al 30%). Accanto a questa soluzione l’esecutivo sarebbe comunque interessato anche all’anticipo della liquidità. Come detto, l’importo desiderato è molto elevato. Gli istituti di credito avevano avanzato la possibilità di un ulteriore strumento oltre al rinvio delle deduzioni (Dta e simili): e cioè lo spostamento di due anni della scadenza per dei crediti d’imposta sui bonus edilizi del 2021, che alcune banche ancora detengono e che non possono vendere perché il mercato è stato bloccato.

Fonte: Il Sole 24 Ore