Così Siena visse la sua età dell’oro

Così Siena visse la sua età dell’oro

Più è buia la notte, più l’oro rifulge. Questa è la sensazione vibrante e quasi fisica resa dal blu profondo che avvolge le sale della National Gallery di Londra dove si può ammirare «Siena – The rise of painting 1300-1350», mostra alta e raffinatissima. È pieno Medioevo ma con quella luce pare già di affacciarsi su un’epoca nuova, fatta di scambi artistici e osservazione della natura, che superano i temi religiosi delle opere.

La rassegna, sostenuta da Intesa Sanpaolo e nata dalla collaborazione fra National Gallery di Londra e Metropolitan Museum di New York, resterà memorabile per la ricerca che l’ha accompagnata e che ha dato vita a un catalogo prezioso. Siena è ricca nel Trecento, le banche e i commerci la portano al centro del mondo. E sono quattro artisti, Duccio di Buoninsegna, Simone Martini e i fratelli Pietro e Ambrogio Lorenzetti a eternarla. Già nella prima sala la Madonna con Bambino del Met, opera di Duccio, traccia la via. Il principale pittore senese della sua generazione (documentato 1278, morto nel 1319), che conosce le icone bizantine e lo stile gotico, rappresenta la Vergine e Gesù con gesti umani, tanto che il bambino quasi tira il velo della mamma e le sfiora il polso con le dita dei piedi. C’è una dolcezza sconosciuta alle icone bizantine che è la cifra geniale di Duccio, come emerge anche dagli otto pannelli superstiti della predella posteriore della Maestà (1308-1311), il capolavoro che l’artista realizza e firma (caso unico) per il Duomo di Siena in onore della Vergine, patrona e protettrice della città. L’opera, con ogni probabilità realizzata con collaboratori della bottega, fra cui Simone Martini, Pietro e forse Ambrogio Lorenzetti, è segata a metà e la predella smantellata nel 1771. Le sue tavole sono tagliate in modo che le scene possano essere esposte e vendute separatamente. Così, dopo 250 anni, la mostra riunisce per la prima volta gli otto pannelli superstiti della predella posteriore per far emergere la capacità narrativa di Duccio, resa vivida dai colori, come il rosso dell’abito della Madonna nell’Annunciazione.

Dopo la morte di Duccio, Simone Martini (circa 1284-1344) è il principale destinatario delle commissioni civiche e il suo nome compare quasi ininterrottamente nei registri pubblici. Il suo impegno civico potrebbe suggerire un’arte seria e formale, ma in realtà sviluppa un virtuosismo tecnico insuperabile e sperimenta formati grandi e piccoli, fissi e non, oggetti di devozione, che ci osservano, mentre li osserviamo e ci chiediamo quanti milioni di occhi hanno cercato consolazione in quegli sguardi. Fra le sue tante opere esposte, il Polittico Orsini, diviso fra i musei di Anversa, Parigi e Berlino, è sintesi sofisticata dell’arte di Simone Martini: Maria riceve l’annuncio che diventerà madre del Cristo in un tempo sospeso, mentre il ciclo della Passione è cacofonico, pieno di colori e clangore.

Accanto ai grandi artisti, in mostra c’è spazio per autori meno noti ma potenti. Lando di Pietro è orafo, scultore e architetto, e autore delle campane per Palazzo Vecchio a Firenze. Per i domenicani di Siena realizza un Crocifisso a grandezza quasi naturale, danneggiato dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale. Rimane solo la testa, con il suo volto smunto e gli occhi sbarrati. Sembra una foto dal fronte ucraino o gli occhi sfiniti che arrivano da Gaza. Più rassicurante è lo sguardo del San Paolo (circa 1330) di Lippo Memmi o del coevo San Giovanni Battista di Tino di Camaino.

Fonte: Il Sole 24 Ore