Criptovalute, fino al 2017 no all’accusa di autoriciclaggio per il titolare di siti web

Criptovalute, fino al 2017 no all’accusa di autoriciclaggio per il titolare di siti web

Non regge all’esame della Cassazione la condanna inflitta dalla Corte d’appello di Milano a un cittadino russo per autoriciclaggio con reato presupposto costituito dall’esercizio abusivo di attività creditizia. La sentenza impugnata specifica che l’imputato era risultato titolare di tre siti Internet (Forexitaly, Keytocash e Ktcinvesting) con oggetto l’attività di promozione e l’offerta di investimento e negoziazione di prodotti e strumenti finanziari attraverso la compravendita di valute digitali. Attività svolta a giudizio della Corte milanese in forma abusiva, che aveva generato un profitto illegale di poco più di 600mila euro nel biennio 2015-2016.

Il discrimine temporale

Elemento cronologico determinante nel giudizio della Cassazione, sentenza 22651 della seconda sezione penale depositata ieri. Fino al dicembre 2016 infatti il Testo unico in materia di intermediazione finanziaria non prendeva espressamente in considerazione le criptovalute. L’abilitazione era richiesta solo per lo svolgimento di servizi o attività di investimento con oggetto una serie di strumenti finanziari puntualmente identificati e tra questi non era compresa la compravendita di bitcoin o altra criptovaluta. Soltanto con l’articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 90 del 2017, che ha rafforzato le misure antiriciclaggio, sono state introdotte le nozioni di valuta virtuale («la rappresentazione digitale di valore, non emessa da una Banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente»), di prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale e di prestatori di servizi di portafoglio digitale.

Per la Cassazione è allora evidente che, all’altezza di tempo della condotta contestata, «non fosse richiesta una specifica abilitazione per quanto attiene all’espletamento di servizi concernenti la compravendita di criptovalute, in sé e per sé considerata». Soltanto con decreto del ministero dell’Economia e delle finanze del 13 gennaio 2022, sono poi state fissate, ricorda la sentenza, «ai fini dell’efficiente popolamento della sezione speciale del registro», le modalità e la tempistica con cui i prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale e i prestatori di servizi di portafoglio digitale sono tenuti a comunicare la propria operatività sul territorio nazionale.

Una ricostruzione del quadro normativo che delinea un insieme di regole extrapenali che tuttavia vanno a integrare in maniera determinante la disposizione penale. Dove la Cassazione non può allora che annullare la condanna nel segno del rispetto del principio di legalità e di tassatività del diritto penale.

Fonte: Il Sole 24 Ore