Da “Abbasso e chiudo” a #ioapro: monta la protesta di bar e ristoranti

Luci che si spengono, saracinesche che si abbassano, chiavi che chiudono cancelli e il claim “Abbasso e chiudo” ripetuto dai professionisti dell’ospitalità. È il video pubblicato dall’associazione Italian Hospitality Network (Ihn) dopo la notizia dell’intenzione del Governo di vietare l’asporto ai bar dopo le 18. L’associazione, che riunisce i professionisti dell’ospitalità, lancia questo messaggio attraverso i social: «Tanti di noi si vedono costretti ad abbassare la serranda senza sapere se la potranno rialzare mai. Noi continuiamo a chiedere alle amministrazioni poche e semplici cose: chiarezza sul futuro del nostro comparto; partecipazione ai tavoli di discussione dove si decide la nostra sorte; istituzione di tavoli permanenti regionali e comunali che regolino davvero le nostre attività».

Dopo lo stop di Natale l’ulteriore restrizione metterà ko il settore

Per Giovanni Seddaiu, rappresentante di Ihn, «quel che è successo a Natale è emblematico del corto circuito che stiamo vivendo. Locali che avevano fatto investimenti per organizzare i pranzi di Natale e che hanno saputo che sarebbero stati chiusi all’ultimo momento. Anche adesso, non sappiamo che ne sarà di noi, fra dpcm e regioni come il Lazio in bilico fra giallo e arancione». Il riferimento è alla chiusura alle 18 per l’asporto prevista dal prossimo dpcm per i soli bar. Una misura definita “stretta anti-movida” ma i professionisti dell’ospitalità non ci stanno: «gli assembramenti di ragazzini al Pincio o quel che è successo a Lucca non si può definire movida, ma sono problemi di ordine pubblico che nulla hanno a che vedere con la somministrazione», afferma Seddaiu.

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«Una città con le luci spente è una città morta», dicono i professionisti dell’ospitalità, che paventano un futuro a tinte fosche per un comparto, quello dei pubblici esercizi, che ha perso secondo Fipe 38 miliardi di euro nel 2020.A questo si aggiunge l’allarme lanciato dalla stessa Fipe, relativo ai ristori che tardano ad arrivare. «Quelli di Natale – afferma Roberto Calugi, Direttore Generale di Fipe-Confcommercio – non si sono ancora visti, ma in moltissimi casi non sono stati corrisposti nemmeno quelli di novembre. In questo modo le imprese, impossibilitate a operare a causa di provvedimenti sempre più restrittivi e la totale assenza di pianificazione di medio periodo, non riescono a sopravvivere. Le promesse non sfamano le persone». Senza contare chi non ha diritto ai suddetti ristori: «abbiamo oltre 3mila imprese esodate».

Il 15 gennaio il via alla protesta pacifica

Calugi definisce così le imprese che non hanno potuto fare alcun raffronto con il fatturato di aprile 2019 perché non ancora aperte o inattive per altre ragioni (ristrutturazione, trasferimento di sede, per esempio). Per loro l’associazione che rappresenta i pubblici esercizi chiede un’attenzione particolare.Per chi dice “Abbasso e chiudo” c’è chi lancia l’hashtag opposto, al grido di #ioapro1501. Non si tratta di un’associazione, in questo caso, ma di una protesta che nasce dal basso, orientata a quella che viene definita una “disobbedienza gentile” che inizierà il 15 gennaio, al grido di #ioapro1501, ma con l’obiettivo di rimanere aperti anche in futuro, dicono. Il gesto è stato rilanciato anche in questo caso attraverso i social con un video. C’è Momo ristoratore di Firenze, Mattia che ha un pub a Bologna, Umberto da Pesaro che afferma che aprirà i suoi locali in sicurezza e così via. Una manifestazione pacifica, con tanto di “Dpcm autonomo”, come l’hanno chiamato, nonché tutela legale per tutti i ristoratori che dovessero essere sanzionati e raccomandazione di buonsenso e buone maniere nei confronti delle forze dell’ordine.

Fonte: Il Sole 24 Ore