Dagli abiti ai giornali fino alle scatole: l’accumulo compulsivo è una malattia?

Dagli abiti ai giornali fino alle scatole: l’accumulo compulsivo è una malattia?

Abiti che non indossiamo più, vecchi giornali, scatole vuote, scontrini: tutti noi tendiamo a conservare qualcosa. A volte si tratta di oggetti dal valore puramente affettivo, legati a un ricordo che non vogliamo perdere, altre volte li teniamo perché “potrebbero servire”. Ma quando questa tendenza smette di essere una semplice abitudine disordinata e si trasforma in qualcosa di più serio? Per alcune persone, separarsi dagli oggetti diventa un’impresa impossibile, e gli spazi abitativi si riempiono progressivamente fino a compromettere la salute e il benessere mentale. Non si tratta di pigrizia o di mancanza di organizzazione: dietro l’accumulo può esserci un disturbo psicologico. La disposofobia, diventata nota con reality televisivi e casi di cronaca, causa rischi concreti, importanti da riconoscere per aiutare chi ne soffre.

Accumulare troppe cose è una malattia?

Sì, in alcuni casi accumulare troppe cose può essere una condizione patologica. Si tratta del disturbo da accumulo (o disposofobia, dall’inglese hoarding cioè “accumulazione”), e si manifesta con la persistente difficoltà a eliminare i propri beni. La persona che ne soffre continua a conservare nella propria abitazione numerosi oggetti, anche inutili o danneggiati, perché separarsene provoca un profondo disagio. È importante non confondere il disturbo da accumulo con il collezionismo, che è invece una raccolta curata e intenzionale di oggetti specifici, né con il naturale attaccamento emotivo a beni che sono appartenuti a una persona cara che non c’è più. E, naturalmente, è ben diverso dal disordine delle camerette dei ragazzi. L’accumulo compulsivo, o seriale, è oggi riconosciuto ufficialmente come patologia a sé stante nel DSM-5 (il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali). Pur appartenendo allo spettro dei disturbi ossessivo-compulsivi, viene classificato separatamente proprio per le sue caratteristiche specifiche.

Come si riconosce?

L’Associazione degli psichiatri americani ha stilato un elenco di sintomi e manifestazioni che identificano gli accumulatori compulsivi: difficoltà insuperabile a buttare via, vendere, riciclare, regalare; accumulo di oggetti (e rifiuti, talvolta anche organici) in equilibrio precario, disordinato, in ogni spazio della casa, compresi letti, scale, lavandini e bagno; molto tempo impiegato a spostare gli oggetti o cercare ciò che è effettivamente utile; conflitti con persone che offrono aiuto per eliminare il disordine; la convinzione che qualsiasi cosa possa essere utile in futuro o che abbia un valore economico; in casi più rari, accumulo di animali domestici. Secondo diversi psicologi è possibile tracciare un identikit dell’accumulatore seriale. Si tratta di una persona che spesso vive da sola, che non ha una vita sociale attiva; inoltre, ha difficoltà a prendere decisioni e a gestire le emozioni, la sofferenza in particolare. L’ipotesi è che l’accumulatore compulsivo trasferisca sugli oggetti non buttati la facoltà di sentirsi al sicuro, persino felice. Un altro tratto distintivo caratteristico è il non rendersi conto della gravità della condizione. Di conseguenza, si nega l’evidenza e solo raramente si chiede aiuto; quando il problema emerge, spesso ha già causato danni. Un ulteriore segnale d’allarme è lo shopping compulsivo. Solo una minoranza delle persone che amano comprare con frequenza, tuttavia, diventa o rischia di diventare accumulatore seriale.

Chi è più a rischio, allora? E quali sono le cause?

Nell’immaginario collettivo, alimentato anche da reality show sul tema e da casi di cronaca, si è imposta la figura dell’accumulatore come una persona anziana, in difficoltà economiche, isolata socialmente. Ma non è sempre così. Sebbene la disposofobia sia più comune in età avanzata, secondo gli psichiatri i sintomi precoci possono manifestarsi già nell’infanzia e nell’adolescenza e, se non controllati, diventano progressivi e cronici. Le cause non sono chiare. Si è notato, nei casi analizzati, che spesso all’origine del disturbo c’è un trauma non gestito, un evento che ha comportato la perdita di una persona come della propria abitazione. Si sta studiando anche l’ipotesi della familiarità ed è invece accertata, in un caso su tre, la compresenza di depressione o ansia e disturbi mentali come, appunto, quello ossessivo-compulsivo.

Fonte: Il Sole 24 Ore