
Dal litio al cobalto, materie prime strategiche per la difesa, ma l’Italia è vulnerabile: ecco perché
Il rapporto “Per una strategia di sicurezza nazionale”, presentato alla Camera lunedì 16 giugno alla presenza del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella e del ministro della Difesa Guido Crosetto, punta l’indice contro quella che costituisce una grave carenza per il sistema difesa. Parliamo di materie prime critiche, ovvero quelle materie prime non energetiche e non agricole che rivestono una grande importanza economica e sono esposte a un elevato rischio di approvvigionamento, spesso causato da un’alta concentrazione dell’offerta in pochi paesi terzi. Nei prossimi decenni la domanda di questo tipo di materie prime è destinata ad aumentare in modo esponenziale, alla luce del ruolo fondamentale che rivestono nella realizzazione delle tecnologie necessarie alla duplice transizione verde e digitale e del loro essenziale utilizzo nei settori della difesa e dell’aerospazio.
Dove siamo
L’Unione europea, e quindi anche l’Italia, dipende quasi totalmente dalle importazioni, e ciò – sottolinea il rapporto – la rende vulnerabile a rischi di approvvigionamento: basti pensare che il 97% del magnesio proviene dalla Cina; le terre rare pesanti, necessarie per i magneti permanenti usati nelle turbine eoliche e nei veicoli elettrici, vengono raffinate solo in Cina; il 63% del cobalto mondiale proviene dalla Repubblica Democratica del Congo, e il 67% di quest’ultimo è raffinato in Cina. Il gigante asiatico, peraltro, si è mosso per tempo: ha stretto intese con Paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina per lo sfruttamento delle loro risorse.
Gli Usa hanno sottoscritto un’intesa con l’Ucraina per lo sfruttamento delle terre rare che si trovano in quel paese come componente di un accordo di pace e di un impegno per il sostegno militare a quel Paese.
La situazione in Italia
Secondo gli studi condotti dall’Ispra, le miniere ancora attive in Italia sono 76 di cui 22 relative a materiali che rientrano nell’elenco delle 34 materie prime critiche dell’Unione europea. In 20 di queste si estrae feldspato, minerale essenziale per l’industria ceramica e in 2 la fluorite (nei comuni di Bracciano e Silius), che ha una larga utilizzazione nell’industria dell’acciaio, dell’alluminio, del vetro, dell’elettronica e della refrigerazione. In particolare, la miniera di fluorite di Genna Tres Montis (Sud Sardegna), che rientrerà in piena produzione al termine dei lavori di ristrutturazione, rappresenterà una delle più importanti d’Europa. Delle altre 91 miniere di fluorite attive in passato, alcune molto importanti – da rivalutare con i prezzi attuali quadruplicati rispetto al 1990 – sono localizzate nel bergamasco, nel bresciano ed in Trentino, oltre a quelle sarde e laziali. Nel sottosuolo del parco Nazionale di Beigua, tra Genova e Savona, si troverebbe la più grande riserva di titanio d’Europa. A Punta Corna, nel Vallone di Arnas, in Piemonte, si troverebbero rilevanti quantità di cobalto. Feldspato e fluorite, sono comunque, ad oggi, le uniche materie prime critiche coltivate in Italia, ma i permessi di ricerca in corso, i dati sulle miniere attive in passato e quelli sulle ricerche pregresse e recenti, documentano la potenziale presenza di varie materie prime critiche e strategiche come il litio, scoperto in quantitativi importanti nei fluidi geotermici tosco-laziali-campani e come diversi altri minerali da cui si producono metalli (rame, cobalto, antimonio, manganese, titanio, stronzio, tungsteno, alluminio, terre rare, gallio, germanio ecc.) indispensabili per la duplice transizione verde e digitale.
Una importante fonte di materie prime critiche è fornita dai grandi depositi di rifiuti estrattivi, cioè gli scarti delle pregresse attività minerarie, potenzialmente ricchi di materie prime che all’epoca non erano ricercate. Solo in Sardegna ne abbiamo circa 80 milioni di metri cubi. La loro mappatura e caratterizzazione sarà oggetto di uno specifico progetto Pnrr a cura di Ispra.
Fonte: Il Sole 24 Ore