Dall’esercito cyber a un centro per il contrasto alla guerra informativa, ecco il piano Crosetto contro le minacce ibride
Gli attacchi e le minacce alla sicurezza sono sempre più ibridi. E per questo occorre delineare una strategia ad hoc che coinvolga Nato e Unione europea. Intervenuto in question time alla Camera mercoledì 12 novembre, il ministro della Difesa Guido Crosetto ha delineato una nuova architettura di risposta alla guerra ibrida, che prevede la creazione di una nuova capacità iniziale dedicata alla difesa cibernetica e di un centro di comando per la guerra ibrida, destinato a contrastare le minacce cognitive e informative che colpiscono il Paese.
«La minaccia ibrida è una guerra continua che ci colpisce ogni giorno, giorno e notte. È necessario definire in ambito Nato, con l’Unione europea, strategie comuni che rafforzino la resilienza democratica e cognitiva e promuovano risposte coordinate agli attacchi – ha spiegato -. In questi termini ho elaborato un documento di lavoro che metterò a disposizione del Parlamento, nel quale abbiamo delineato le principali direttrici normative operative necessarie per rendere la difesa più moderna, efficace, pronta al contrasto delle minacce ibride. Il documento prevede ad esempio il riconoscimento del dominio cyber come vero e proprio spazio Difesa nazionale, la costituzione di un’ “arma cyber” con una capacità iniziale di circa 1.200 1.500 unità operative, dotate di adeguata tutela giuridica per il personale civile e militare».
In merito alle proposte, Crosetto ha anche parlato della «creazione di un centro di guerra ibrida per il contrasto alla guerra cognitiva e informativa e l’aggiornamento del quadro normativo per consentire posture di difesa più tempestive e coerenti con i nuovi scenari. A tal proposito presenteremo un disegno di legge per il riordino complessivo della Difesa per dare attuazione a queste linee. Constato con soddisfazione – ha concluso Crosetto – che finalmente se ne inizia a parlare anche ai tavoli europei, dove finora il tema era assente. La vera domanda oggi non è più cosa dobbiamo fare, ma quanto rapidamente saremo capaci di farlo insieme ai nostri alleati».
Già in passato – l’ultima volta a metà ottobre – il responsabile della Difesa ha fornito indicazioni sull’“esercito cyber”. L’Italia avrà un esercito cyber per difendere un dominio, quello digitale, al pari di terra, mare, aria e spazio. «Dovrebbe partire una prima struttura che possa contare su 1.200-1.500 unità, in larga parte operative, ma l’obiettivo – ha spiegato in un videomessaggio diffuso a ComoLake – è arrivare a un organico più ampio, pienamente autonomo, capace di agire con efficacia su tutto lo spettro della minaccia. La dimensione cyber – ha sottolineato – è ormai il dominio operativo della sicurezza, insieme a terra, mare, aria e spazio. Difenderlo richiede capacità delicate, costanti e integrate. È qui che rende forma l’idea di una Arma cyber nazionale con una componente civile e militare in grado di operare 24 ore su 24, sette giorni su sette, 365 giorni l’anno».
L’Ue lancia lo “Scudo per democrazia” contro le fake news
Intanto la Commissione Europea ha lanciato lo “scudo europeo per la democrazia”, “European Democracy Shield”, che prevede una serie di misure con l’obiettivo dichiarato di «rafforzare, proteggere e promuovere democrazie forti e resilienti» nel Vecchio Continente. A complemento dello scudo, è stata anche presentata una strategia dell’Ue per la società civile, che mira ad un maggiore «coinvolgimento, protezione e sostegno» alle organizzazioni della società civile che svolgono ruoli «essenziali nelle nostre società». La componente più concreta dello “scudo” sarà un nuovo Centro Europeo per la Resilienza Democratica, che riunirà le competenze e le risorse dell’Ue e degli Stati membri con l’obiettivo di aumentare la «capacità collettiva di anticipare, individuare e rispondere alle minacce e costruire la resilienza democratica». Un alto funzionario Ue ha spiegato che impiegherà personale già attivo nella Commissione e nel Seae, ma non è stato ancora deciso con quali numeri. Nei confronti di quei Paesi, come l’Ungheria, dove lo Stato di diritto è già minacciato, lo scudo sarà sostanzialmente inattivo: l’alto funzionario ha spiegato che la Commissione ha già agito con diverse «procedure di infrazione», alcune delle quali hanno già portato alla condanna di Budapest al pagamento di pene pecuniarie. Pene che il governo di Viktor Orban paga, considerandole il prezzo per mantenersi autonoma da Bruxelles in quelli che ritiene essere campi attinenti alla propria sovranità nazionale. La procedura ex articolo 7, che in teoria potrebbe sospendere il diritto di voto dell’Ungheria nel Consiglio, è bloccata da anni, perché richiederebbe l’unanimità a 26. Con gli Stati membri «al centro», secondo la Commissione il Centro «fungerà da quadro per facilitare la condivisione delle informazioni e sostenere lo sviluppo di capacità per resistere alle minacce comuni in continua evoluzione, in particolare la manipolazione e l’interferenza delle informazioni straniere e la disinformazione».
Fonte: Il Sole 24 Ore