Data center, per sostenere lo sviluppo rispuntano le centrali a gas

Data center, per sostenere lo sviluppo rispuntano le centrali a gas

Chiamatela, se volete, la rivincita delle centrali a gas. Uno degli asset più bistrattati negli ultimi anni potrebbe vivere una seconda giovinezza grazie al boom dei data center, che impongono alle reti un fabbisogno di energia senza soluzione di continuità, 24 ore su 24, sette giorni su sette. E chi riesce garantire una fornitura di queste genere, che gli addetti ai lavori chiamano “baseload”? Le rinnovabili possono fare metà del lavoro, ma l’altra parte della soluzione – quando le pale eoliche si fermano o il sole scompare – è rappresentata da due strade: centrali a gas o nucleare. Che per l’Italia, se si vuole ragionare nel breve periodo, si riduce a una, i cicli combinati ad alta efficienza, di cui il Paese è ricco con sei nuove centrali, tra presente e futuro, per quasi 5 GW, largo circa quanto il nucleare spagnolo. E con il recupero del calore disperso dai data center che abbasserebbe in maniera rilevante il saldo finale di anidride carbonica. Certo, rispetto all’atomo le differenze in termine di emissioni restano, ma in Italia la tabella di marcia sugli Small Modular Reactor, potenzialmente ideali per alimentare un data center, proietta questa soluzione a metà degli anni Trenta, mentre il nucleare di quarta generazione, senza fare nomi, è considerabile alla stregua di una start up e potrebbe vedere i suoi primi frutti solo nel decennio successivo.

Nuova vita per i cicli combinati (efficienti)

Attenzione, quanto detto finora non significa che il ruolo delle rinnovabili vada ridimensionato. Anzi, esse saranno sempre più l’architrave del mix energetico italiano; tuttavia, secondo lo studio di TEHA e A2A, per alimentare i data center andranno integrate con fonti in grado di garantire continuità e flessibilità, prerogative necessarie per far funzionare questo tipo di infrastrutture. Ciò permetterebbe, peraltro, di prendere due piccioni con una fava: il 70% della capacità termica italiana è di fatto inutilizzata e il restante 30% viene chiamato in causa ormai solo per coprire i picchi di richiesta (soprattutto invernali). Tutto ciò ha determinato un incremento rilevante dei costi di gestione di questi impianti, che per la maggior parte restano in piedi solo al meccanismo del capacity market, la remunerazione ricevuta per la riserva di potenza e flessibilità offerta al sistema. Per dare un’idea, sebbene oggi il gas contribuisca ancora a metà della generazione elettrica italiana, si stima che dalle oltre 3mila ore del 2023 questi impianti funzioneranno nel 2030 solo 1.170 ore, fondamentali però per evitare blackout, con conseguenze potenzialmente molto gravi, in alcune aree del Paese.

Inoltre, l’Italia già oggi può contare su tre nuovi impianti a ciclo combinato ad alta efficienza (oltre il 60%), flessibilità e prestazioni ambientali, ai quali presto se ne aggiungeranno altri tre: in tutto sei nuove centrali da 5 GW, che in termini di emissioni – se accoppiate al recupero del cascame termico dei data center – fornirebbero performance più che interessanti. Ipotizzando di far viaggiare un data center al 50% con rinnovabili e al 50% con un asset termico di questo tipo, considerando il calore di scarto destinato al residenziale (per la cui produzione si evitano così ulteriori emissioni), la CO2 prodotta si attesta a 95 grammi/Kwh. Senza sfruttare il teleriscaldamento e con cicli combinati meno efficienti (50% o 40%) il bilancio finale è rispettivamente di 400 e 500 g: una forbice che la dice lunga sul potenziale valore della circolarità dei data center.

L’esempio americano

Anche il maxi progetto Stargate, frutto della collaborazione tra OpenAI, Oracle e Softbank, in Texas data l’urgenza di approvvigionamento energetico sta utilizzando centrali a gas (peraltro a bassa efficienza). Allo stesso tempo è altrettanto vero che molte Big Tech americane, come Microsoft o Google hanno scelto il nucleare, sfruttando centrali già esistenti (la prima ha firmato un accordo con Constellation Energy per acquistare 800 MW energia nucleare dalla centrale di Three Mile Island) o mettendo in cantiere nuovi Smr, come avvenuto anche in Gran Bretagna. In Italia l’atomo al momento è poco più di un cantiere e, secondo il report, la scelta più pragmatica è quella di appoggiarsi, per coprire i buchi delle rinnovabili, al caro vecchio gas seppur con un “lifting” di efficienza.

Fonte: Il Sole 24 Ore