
David Byrne guarda al cielo e ritrova la leggerezza
Louis Thomas Hardin non indossava altro che i suoi abiti fatti in casa. Nonostante fosse cieco, fu un compositore, musicista e ha inventato alcuni strumenti, come la trimba. L’attenzione attorno al «Vichingo della 6ª Avenue», conosciuto con lo pseudonimo Moondog, ha cominciato a crescere nella fase finale della sua carriera, negli anni novanta. Da allora, i tributi alla sua carriera non sono stati pochi, come dimostra l’album che la Ghost Train Orchestra gli ha dedicato nel 2023. Quando David Byrne ha ascoltato quel disco, aveva già un cassetto pieno di abbozzi. Qualche groove, alcuni demo voce e chitarra spuntati durante gli ultimi concerti del tour di “American Utopia”.
Domande critiche, risposte sincere
L’ottavo album in studio di Byrne era uscito nel 2018, in piena tempesta trumpiana, e la sua programmazione dal vivo ha subito un blocco pandemico in cui il cantante dei Talking Heads ha cucinato e disegnato «tantissimo», oltre a buttar giù frasi isolate e vere e proprie strofe. Durante quel tempo sospeso, Byrne ha colto l’occasione per trovare le risposte giuste a domande profonde: «Mi piace quello che sto facendo? Perché scrivo canzoni, o faccio questo lavoro, o qualunque altra cosa? Ha davvero importanza?». Tutto questo ha portato a “Who Is The Sky?”, album registrato proprio con i quindici musicisti della Ghost Train e arricchito dalla produzione di Kid Harpoon, così come dalle ospitate di Hayley Williams dei Paramore, St Vincent e del percussionista Tom Skinner. Per il cantante dei Talking Heads, il nuovo album è «un’occasione per essere la creatura mitica che tutti custodiamo dentro, un’occasione per entrare in un’altra realtà, per trascendere ed evadere dalla prigione del nostro ‘io’». Shira Inbar ha tradotto tutto ciò nella grafica psichedelica, dove spiccano gli abiti di Byrne, disegnati dall’artista belga Tom Van Der Borght.
Un rito collettivo
Come testimonia la sua carriera, David Byrne è ossessionato dall’idea di collettivo. Non a caso, il penultimo brano di “American Utopia” s’intitolava “Everybody’s Coming to My House”, mentre “Who Is The Sky?” si apre con la solare “Everybody Laughs”. Il «tutti» si trasforma in «noi» per “When We Are Singing”, altro momento ad alto tasso melodico. Infatti, le nuove dodici canzoni di Byrne sono quasi tutte al di sotto dei tre minuti e mezzo, sprigionano allegria, pur mescolando varie sonorità. Insomma, tutto quello a cui l’artista ci ha abituati da decenni a questa parte. Vale lo stesso per i temi – la connessione, l’amore, le quattro mura di casa come porto sicuro. A volte, però, quella bizzarria perde di brillantezza, come nelle storie di esagerati trattamenti anti-invecchiamento o di un Buddha licenziatosi dal suo ruolo.
Il pericolo non si corre in “The Avant Garde”, tanto sbilenca quanto ipnotica, e la mutevole “Don’t Be Like That”, così come nella esotica “The Truth”, un reggaeton che non sfigura in un album caleidoscopico, dove archi, ritmi, strofe facili da assimilare e la stravaganza tipica di David Byrne s’intrecciano per un episodio discografico più sereno e spensierato rispetto al precedente.
Fonte: Il Sole 24 Ore