
Dazi Usa al 30% sull’import Ue, ecco come pesano su Italia, Spagna, Grecia e Irlanda
L’Upb: impatto negativo sul Pil dell’Italia dai dazi pari a due decimi di punto nel 2026
Secondo l’Upb, l’Ufficio parlamentare di bilancio, nello scenario attuale i settori dell’economia italiana più colpiti dai dazi degli Stati Uniti potrebbero essere l’industria farmaceutica, l’attività estrattiva e la produzione di autoveicoli, con perdite occupazionali più significative nei comparti della fabbricazione dei prodotti in metallo, di macchinari e nel settore tessile. L’attività estrattiva segnerebbe una forte perdita di valore aggiunto, in quanto è fortemente interconnessa con le diverse attività manifatturiere; effetti rilevanti, sebbene indiretti, riguarderebbero alcuni comparti dei servizi come le attività professionali (studi di architettura, ingegneria, legali, contabilità e gestione), la pubblicità e i servizi di ricerca e fornitura del personale. Gli scenari elaborati dall’Upb ipotizzano un impatto negativo sul Pil dell’Italia dai dazi pari a due decimi di punto nel 2026 e un decimo di punto nel 2027.
Coldiretti: con dazi 30% perdita di 2,3 miliardi di export nel 2024
Lo spettro dei dazi aleggia soprattutto sull’agroalimentare italiano. Con il 30%, «potremmo perdere circa 2,3 miliardi dei 7,8» di export «oggi realizzati, con un danno rilevante per il nostro sistema agroalimentare», ha ricordato il presidente di Coldiretti Ettore Prandini. «Il valore delle esportazioni dell’agroalimentare italiano negli Stati Uniti nel 2024 è di 7,8 miliardi. Senza penalizzazione dei dazi con un aumento di tassazione al 30%, la nostra previsione è quella di poter superare nel 2025 i 9 miliardi in termini di valore creando le condizioni per le quali nell’arco di qualche anno il mercato statunitense, addirittura per l’Italia, possa diventare il primo mercato in termini di importanza sulle esportazioni di agroalimentari. Fuori dubbio che qualsiasi aumento di tassazione rischia di vanificare questo risultato», ha puntualizzato Prandini.
Ad esempio, è pesantissimo il quadro che si profila per la filiera del formaggio Dop che ha negli Usa il suo terzo mercato mondiale con oltre 220 mila forme esportate nel 2024. Stefano Berni, direttore generale del Consorzio Tutela Grana Padano, ha lanciato l’allarme: «Grana Padano da tanti anni sta scontando un dazio storico che era del 15% nelle esportazioni verso gli Stati Uniti. Una gabella che dopo i primi mesi di presidenza Trump, è salita al 25% che quindi oggi incide per quasi 6 dollari al kg». «Il dazio ora salirebbe a circa 10 dollari al chilogrammo di Grana Padano. Ma gli importatori e i distributori americani mettono in vendita al consumatore il Grana Padano moltiplicando per 2 il prezzo di partenza e tutti i costi logistici che hanno negli Usa. Ciò vuol dire – ha concluso Berni – che oggi lo pongono in vendita poco sotto i 40€ al kg; ma con un ulteriore dazio aggiuntivo del 30% che quindi porterà quello totale al 45%, il prezzo al consumo supererà ampiamente i 50 dollari al chilogrammo».
Confindustria accessori moda: «Dai dazi impatto molto grave»
La sfida dazi Usa chiama in causa anche il sistema moda, un’altro vanto del Made in Italy. «Non esiste una stima numerica ufficiale dei danni economici complessivi, ma i primi segnali raccolti tra le imprese italiane del settore accessorio moda indicano un impatto potenzialmente molto grave», ha chiarito Giovanna Ceolini, presidente di Confindustria accessori moda, sullìipotesi di dazi americani al 30% per l’Europa. Le esportazioni verso gli Stati Uniti, che nel 2024 hanno raggiunto i 2,8 miliardi di euro (-3,5% rispetto al 2023), rappresentano circa l’11,1% dell’export totale delle imprese rappresentate da Confindustria accessori moda, rendendo il mercato americano il secondo più importante dopo la Francia. In particolare, il calzaturiero (con quasi 1,4 miliardi di export) e la pelletteria (1,2 miliardi) sono i due settori della Federazione con export verso gli Usa più elevato. «I nostri imprenditori sono preoccupati, prevedono un forte impatto sui risultati aziendali con conseguenze abbastanza rilevanti: un quadro – ha continuato Ceolini – che suggerisce come, in assenza di contromisure, si rischia un drastico ridimensionamento dell’export e un indebolimento della competitività internazionale, con ricadute significative lungo tutta la filiera produttiva e occupazionale. In questo contesto, è probabile un’accelerazione delle strategie di diversificazione dei mercati: già oggi circa il 51% delle aziende che esportano negli Usa ha iniziato a esplorare alternative (o si dichiara pronto a farlo), con focus su Asia (32%) ed Europa (31%), seguite da Medio Oriente (19%), Africa (10%) e Oceania (7%). Tuttavia, aprirsi a nuovi mercati richiede tempo, investimenti e supporto istituzionale», ha concluso la presidente di Confindustria accessori moda. E di tempo, in questa fase, ce n’è purtroppo poco.
Grecia: agri-food sotto pressione e timori per la competitività
Anche se l’economia greca non è fortemente dipendente dagli scambi con gli Stati Uniti (che valgono circa il 5% delle esportazioni totali), l’introduzione di dazi del 30% rischia di danneggiare settori strategici come l’agroalimentare. I prodotti greci, dal feta all’olio d’oliva, passando per le conserve di frutta, rischiano di diventare troppo costosi per il mercato americano, con ordini già cancellati per la seconda metà del 2025. «Senza misure di sostegno, le esportazioni sono destinate a calare», ha avvertito Kostas Apostolou, presidente dell’associazione greca dei produttori di conserve.
Fonte: Il Sole 24 Ore