
DiCaprio e Penn brillano nel nuovo film di Anderson: satira e azione
Le battaglie che Paul Thomas Anderson intraprende con i suoi film sono sempre contro le ideologie, in generale, e, cinematograficamente, contro i recinti di genere, seguendo il filo di una narrazione che vaga e che, solo se gli interessa, chiude il cerchio. Così ha girato film sorprendenti, come Boogie Nights – L’altra Hollywood (1997), Magnolia (1999), Il petroliere (2007), The Master (2012), passando dalla pornografia a Scientology. Altri film belli ma meno irregolari e stupefacenti, come Il filo nascosto (2017), e alcuni anche sfilacciati, come Licorice Pizza (2021).
Lo sguardo sulla società americana
A P.T. Anderson interessa soprattutto la società americana, da osservare con involontario sguardo politico e instintivo fiuto sociologico, attraverso personaggi tenaci fino alla disfatta, alienati e soli. Spesso direttore della fotografia di sé stesso, ha una raffinata e coltissima consapevolezza filmica con cui ama giocare, utilizzando piani sequenza, steadicam e macchine da presa piazzate in ogni dove. Nell’ultimo film, Una battaglia dopo l’altra, anche sul fondo dell’auto.
Attori eccezionali
Assieme a lui hanno lavorato i migliori attori: Philip Seymour Hoffman, con lui dalla prima pellicola (Sidney, 1996); Daniel Day-Lewis, protagonista de Il petroliere e de Il filo nascosto (dopo cui, nel 2017, ha annunciato l’addio alle scene); Paul Dano, agli esordi nel Petroliere e poi in Licorice Pizza; due “cavalli” imprendibili come Tom Cruise e Joaquin Phoenix. Nell’ultimo film arriva Leonardo DiCaprio, in compagnia dei già andersoniani Sean Penn (Licorice Pizza) e Benicio del Toro (Vizio di forma). Anderson si disinteressa della passerella dei festival e degli Oscar, cui è candidato ripetutamente senza vincere mai. Chi scrive lo ricorda a Venezia, svogliato e irriverente alla conferenza stampa di The master nel 2012, a ridere con la sua ciurma delle domande dei giornalisti, fornendo risposte laconiche, se non divertiti «sì» e «no». Quando la Mostra del cinema lo premiò con il Leone d’argento per la regia, nessuno riuscì a fargli prendere un volo per ritornare al Lido e mandò il suo amico e sodale Philip Seymour Hoffman, che salì sul palco con una simpatica, quanto arruffata apparizione.
Una nuova prospettiva femminile
I film di P.T. Anderson sono spesso connotati da una patina fredda, a volte, glaciale, in sintonia con l’atmosfera da confraternita maschile dominante nella sua filmografia, nonostante abbia diretto grandi attrici come Gwyneth Paltrow, Julianne Moore, Emily Watson, Vicky Krieps, Amy Adams. Ne Una battaglia dopo l’altra, invece, sin dalla prima inquadratura le redini sono femminili. Perfidia “Beverly Hills” (la sensuale e superba cantante-attrice Teyana Taylor) appare su un cavalcavia mentre osserva gli immigrati irregolari messicani detenuti negli Stati Uniti in attesa di rimpatrio.
La trama del film
Subito dopo appare Pat Calhoun /Bob Ferguson (Leonardo DiCaprio), artificiere per amore di Perfidia, da cui è soggiogato. Assieme a una banda di ribelli armati combattono per una giusta causa – favorire la libertà di spostamento e abbattere il capitalismo spietato -, ma con i mezzi sbagliati delle armi. Ne scaturisce un film di azione spintissimo, corale e divertente, in cui il mattatore comico è DiCaprio, nel ruolo, per lui non usale, di residuato bellico maldestro, senza più alcuna aurea del fascinoso ribelle che era stato, pioniere combattente del gruppo collettivo libertario French 75. Ormai emarginato e paranoico, drogato e prolisso, si identifica totalmente nella figura di padre single della figlia sedicenne Willa (Chase Infiniti). Inseguimenti con emulazioni esplicite del re dell’action movie Tom Cruise, citazioni con immagini de La battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo, che richiama il titolo, il film mescola lo stile di Spike Lee, di Tarantino, la commedia splatter, il melodramma, le arti marziali e la satira politica contro un’America razzista ed escludente. Le recitazioni statuarie fanno il resto. Oltre a DiCaprio, Sean Penn nei panni del persecutore colonnello Steven J. Lockjaw, un fanatico nazionalista e suprematista bianco, che ricorda l’ispettore Javert de I miserabili, mentre la famiglia disfunzionale di DiCaprio attinge al Thomas Pinchon di Vineland. C’è anche il bravissimo Benicio del Toro, Sensei, maestro di karate, che protegge e nasconde gli immigrati. Ancora viene a galla il tema, tante volte percorso in Anderson, della famiglia disfunzionale e quello della redenzione. Di fronte alla barbarie della politica l’unica soluzione, suggerisce, è quella di scendere in piazza pacificamente, come sta facendo nella realtà la maggior parte del mondo. Se fosse con la grazia dei manifestanti in Marocco, che distribuiscono fiori alla polizia, sarebbe magico. Come è questo film da 4 stelle su 5.
Fonte: Il Sole 24 Ore