Dieselgate 10 anni dopo, Lo scandalo che ha cambiato la storia dell’automobile

Dieselgate 10 anni dopo, Lo scandalo che ha cambiato la storia dell’automobile

Settembre 2015, salone di Francoforte. È la calma prima della tempesta nella massima ed eccessiva kermesse automobilistica di quegli anni, il tempio dove si celebrava il rito pagano dell’auto e della super potenza tedesca che sembrava non temere nessuno. Eppure, le nubi della prima tempesta epocale erano all’orizzonte: il dieselgate che, scatenato negli Usa, travolse a partire dal 18 settembre il gruppo Volkswagen per aver alterato con un cheating device le emissioni di NOx dei suoi motori a gasolio. Un disastro epocale con multe miliardarie nonché milioni e milioni di auto nuove negli Stati Uniti ammassate sotto il sole in parcheggi improvvisati dei deserti perché dovevano essere demolite (e di certo erano meno inquinanti delle vecchie vetture del parco circolante Usa). Il dieselgate fu un vero tsunami che travolse l’industria automobilistica mondiale e soprattutto europea e tedesca. Al di la dei danni diretti per il gruppo Vw: circa 11 milioni di veicoli diesel da demolire o aggiornare nel mondo (7,5 milioni in Europa, 500.000 negli Usa) con motori Euro 5 EA189 1.2, 1.6 e 2.0 TDI, oltre 30 miliardi di euro tra multe, cause legali e richiami (soprattutto negli Usa ed Europa). Il dieselgate fu l’Hiroshima dell’auto, con il gruppo Volkswagen travolto in un gioco geopolitico partito in America e i dieci anni successivi al 18 settembre 2015 sono quelli dove l’industria non è mai più stata come prima.

Colpo al cuore per l’industria europea

Un vero colpo al cuore dell’industria europea e tedesca che mise di fatto fuori gioco uno dei motori più efficienti e meno impattanti dal punto di vista delle emissioni di anidride carbonica. Volkswagen, il motore a gasolio e tutta l’industria automobilistica subirono uno shock, anche mediatico, senza precedenti e sul banco degli imputati (per colpa di Volkswagen) finirono tutte le Case costruttrici e questo accese la scintilla, in una confusione nei media, probabilmente dolosa, tra emissioni clima alteranti ed emissioni inquinanti, finché si decretò l’inizio della fine del motore termico. Il Dieselgate diede l’appiglio mediatico coram populo, anche per la mancanza di conoscenza tecnica in molti giornali, per sostenere in una Commissione Europea a trazione olandese l’avvio del processo che portò, due anni fa, alla storica decisione di mettere al bando il motore a combustione interna nel 2035 con una decisione del Parlamento Europeo che solo sulla carta è tecnologicamente neutrale ma, nella realtà dei fatti, impone un’unica scelta: quella dell’auto elettrica a batterie agli ioni di litio.

Lo scandalo delle emissioni di NOx è stato enorme e tutta l’automotive è andata sul banco degli imputati: brutta, sporca, inquinante e cattiva in una confusione tra inquinanti (NOx) e climalteranti (CO2) che porta a cambiamenti tecnologici e cultural- ingegneristici di portata enorme. «Il diesel è morto, viva l’elettrico a ioni di litio», diventa il mantra di una trasformazione epocale fatta storytelling di guida autonoma, auto volanti (mai viste) e vetture elettriche che sarebbero dovute costare poco e conquistare schiere di clienti.

No, le cose sono andate diversamente, dopo una pandemia, guerre e crisi dei chip. I mega gruppi europei sono in affanno. Ma è soprattutto la Germania, patria – e simbolo – dell’auto eccellente, a patire una crisi industriale tecnologica e di strategie di marketing basate su inesistenti incroci tra domanda e offerta. La roccaforte tedesca dell’auto, locomotiva dell’Europa per tecnologia, innovazione e occupazione vacilla e rischia il crollo come Nokia. E questo due anni e mezzo dopo la decisone Ue di fermare dal 2035 le termiche e una serie infinita di cori “stop alla benzina” a partire anche da 7 o 8 anni prima della cadenza europea, con una serie di scelte (si veda Porsche) dettate più dalla voglia di compiacere le borse e gli analisti che da razionali scelte industriali e commerciali. Anche perché di fronte c’è l’arrembante avanzata delle case cinesi, forti del dominio sull’elettrico, sull’ibrido extended range e soprattutto sul software, ambito in cui l’Europa e la Germania sono storicamente deboli, nonostante i tentativi di reagire (caso di scuola è il tracollo della divisione Cariad di Vw). E così quelli che erano all’avanguardia tecnica si trovano sotto pressione da parte di colossi cinesi, fortemente sovvenzionati dal Governo di Pechino, che propongono prodotti validi, innovativi sotto il profilo digitale (in grado di sfidare Tesla), ma che devono dimostrare di essere in grado di competere a 360 gradi con auto che non siano solo degli smartphone su ruote: i cinesi sono bravissimi nel cantare eccellenze sui social network.

Fonte: Il Sole 24 Ore