
Difesa, la Nato raddoppia il budget. Portolano: «Ora puntare su organici, droni, copertura aerea e munizioni»
Il summit Nato andato in scena all’Aia questa settimana ha alzato l’asticella delle risorse destinate alla difesa al 5% del Pil entro il 2035. Il 3,5% va direttamente alle spese in difesa classica (armi, mezzi, munizioni) e l’1,5% in sicurezza.
In un contesto internazionale segnato da minacce crescenti, dalla guerra in Ucraina al terrorismo, dalla sicurezza energetica alla difesa delle infrastrutture critiche, e sulla spinta del presidente Usa Donald Trump che ha ripetutamente chiesto di non far ricadere unicamente sulle spalle degli Stati Uniti il costo della difesa europea, i 32 Paesi alleati hanno cambiato passo e deciso di mettere mano al portafoglio, puntando a oltre il doppio dell’attuale target del 2 per cento.
Ora si tratta di capire come e dove investire questo denaro. Tra le persone più titolate a fare chiarezza su questo aspetto, anche e soprattutto per la lunga esperienza maturata sul campo, c’è il generale Luciano Portolano, Capo di Stato Maggiore della Difesa.
Generale, da dove partiamo?
Partiamo dalla necessità di essere in grado di affrontare possibili minacce attuali e future: servono investimenti tecnologici e infrastrutturali che rispondano agli impegni presi con la Nato e al bilanciamento delle asimmetrie che – purtroppo, ancora esistono tra le Forze Armate. Oggi è nuovamente necessario potenziare quelle capacità, che sono e restano indispensabili per sostenere un eventuale conflitto convenzionale. A queste, si aggiungono gli investimenti per l’acquisizione di assetti strategici, come le capacità legate ai domini cyber e spazio, ai droni, alla difesa aerea e missilistica integrata, alla digitalizzazione, allo spettro elettromagnetico e alla dimensione cognitiva, che peraltro rafforzano la base industriale e tecnologica del Paese e producono effetti positivi anche su economia, competitività e occupazione.
Fonte: Il Sole 24 Ore