
Dolore cronico, il guasto nascosto nel cervello
Come un’automobile, anche il cervello avrebbe una sorta di conducente capace di guidare le reazioni al dolore. Quando ci pungiamo oppure subiamo una bruciatura o comunque andiamo incontro a un dolore acuto, il sistema nervoso attiverebbe una specie di freno in grado di attenuare progressivamente la reazione. Ma lo stesso non avverrebbe quando il dolore diventa cronico. In questa situazione, non si riuscirebbero a spegnere i segnali del dolore, che rimangono quindi attivi. E senza particolari possibilità di essere corretti.
La metafora automobilistica, ovviamente, non è propriamente scientifica. Ma può aiutare a capire quanto e come una ricerca apparsa su Science Advances potrebbe favorire la ricerca di nuove strategie d’approccio nei confronti del dolore cronico, una delle sfide più complesse per la medicina. Lo studio mette infatti in luce questo “segreto” scientifico che sarebbe celato all’interno del tronco encefalico, una regione del sistema nervoso centrale e più precisamente nel corno dorsale midollare. Insomma, aggiunge un tassello importante al mosaico delle conoscenze. Tanto da far ipotizzare, concentrando l’attenzione sui neuroni specializzati di questa area, di prospettare terapie del futuro mirate. Ovviamente, siamo solo all’inizio. Ma c’è la speranza di arrivare ad agire sulle anomalie del sistema frenante, che non funziona come vorremmo, perpetuando nel tempo il dolore.
Neuroni specializzati
La ricerca, che vede il coordinamento di Ben Title e Alexander M. Binshtok della Hebrew University-Hadassah School of Medicine e del Center for Brain Sciences (ElscL) dell’Hebrew University di Gerusalemme, concentra l’attenzione sui sistemi invisibili che governano il comando dei segnali del circuito del dolore, perché proprio questi si comporterebbero diversamente in base al tipo di algie. Il tutto per la reazione di un’area specifica del tronco encefalico in cui si trovano neuroni che sono vere e proprie “stazioni” lungo le vie percorse dai segnali del dolore.
Cosa succede quando, ad esempio, abbiamo il classico dolore dell’artrite passeggera o un torcicollo? In questi casi, questo punto di cellule nervose riduce la propria attività e quindi, proprio come un freno, favorisce il controllo della quantità degli stimoli che vengono inviati al cervello. Poi, non appena si placano dolore e infiammazione, magari anche grazie all’azione delle terapie per i sintomi acuti, i neuroni di questa zona tornano alla loro normale attività. Il problema è che nel dolore cronico tutto questo delicato sistema non lavora a dovere, con i neuroni che, sbagliando, invece di limitare la loro azione tendono a divenire ancor più eccitabili e quindi, in qualche modo, rappresentano essi stessi il “carburante” per il mantenimento delle algie.
Correnti fuori controllo
Lo studio, come rileva la nota dell’Università, spiega anche il meccanismo attraverso cui i neuroni altererebbero la loro eccitabilità. Tutto sarebbe legato a una specifica corrente del potassio, definita di tipo A, che ha il compito di favorire la regolazione dell’eccitabilità neuronale. Attenzione però: se nel dolore acuto questa corrente aumenta, agendo come un sedativo naturale, in caso di dolore cronica non cresce e quindi si verifica l’iperattività neuronale. Insomma, manca un meccanismo regolatore che appare di grande importanza, stando a quanto riporta lo studio. Lo stop a questo sistema di controllo potrebbe trasformarsi in un vero e proprio interruttore biologico che si modifica, portando il dolore acuto a trasformarsi in cronico. Come segnala in una nota l’ateneo, lo studio potrebbe aprire prospettive importanti in termini di terapie per queste forme di dolore. «Questa è la prima volta che osserviamo come gli stessi neuroni si comportino in modo così diverso nel dolore acuto rispetto a quello cronico – è il commento di Binshtok nel documento -. Il fatto che questo naturale meccanismo “calmante” sia assente nel dolore cronico suggerisce un nuovo obiettivo terapeutico. Se riuscissimo a trovare un modo per ripristinare o imitare quel sistema frenante, potremmo essere in grado di impedire che il dolore cronicizzi».
Fonte: Il Sole 24 Ore