
Domenica si apre la stagione della caccia: ecco tutti i numeri
Domenica prossima si apre, tra le polemiche, la stagione di caccia. Perché, come sancito dalla legge 157/92, il calendario venatorio deve essere compreso tra la terza domenica di settembre e il 31 gennaio dell’anno successivo. In realtà, le regioni possono anticipare l’apertura delle operazioni fino al 1 settembre ma per specifiche specie e, nel caso, devono anticipare in proporzione anche la data di chiusura.
Il solo profilarsi all’orizzonte dell’apertura della stagione venatoria ha già provocato nelle ultime settimane le proteste di varie associazioni ambientaliste e animaliste che descrivono le misure attualmente all’esame del Senato di modifica della legge sulla caccia come una profonda deregulation.
«Alcune modifiche importanti sono state introdotte già con l’ultima legge Finanziaria – spiega il presidente di Federcaccia, Massimo Buconi – che ha previsto alcune flessibilità oltre alla previsione del piano straordinario di gestione della fauna selvatica. E’ stato introdotto il concetto in base al quale il controllo della fauna selvatica non deve più sottostare alle norme sulla caccia ma è un’attività svolta nell’interesse pubblico».
Ma nel mondo ambientalista e animalista sono in tanti a vederla in maniera completamente diversa nella convinzione che le nuove norme stiano tratteggiando una sorta di pericoloso “liberi tutti” in ambito venatorio. «Qualcuno vede troppi film americani – aggiunge Buconi -. In Italia la caccia continua a essere – giustamente – fortemente regolamentata. Continuiamo ad avere le norme in materia più stringenti d’Europa. Per cacciare occorre una visita medica del medico di famiglia seguita da quella di un medico legale, di una Asl o del corpo militare. Visite che vanno effettuate con periodicità. Occorre poi superare un esame di caccia e avere l’idoneità di un poligono di tiro per l’uso e maneggio delle armi e ancora inoltrare la domanda alla Questura, che verifica tutti i requisiti di legge, per il rilascio di un porto d’armi. Senza dimenticare che la caccia si può fare solo nei territori adibiti, è infatti preclusa negli ambiti protetti: parchi, oasi e zone di ripopolamento. Ci sono poi i siti della rete Natura 2000 e le ZPS, zone a protezione speciali, nelle quali non c’è il divieto ma limitazioni. E poi ci sono gli istituti privati di caccia dove per operare occorre l’autorizzazione del concessionario. E sono aree che in molti casi coincidono con le aziende agricole. Tutto questo non cambia di una virgola. Insomma, non siamo negli Usa dove uno si reca con la carta d’identità in armeria e può comprare un fucile».
Il punto è che da quando fu varata la legge 157 del ’92 a oggi le condizioni sono profondamente cambiate. I cacciatori che in Italia erano 1,4-1,5 milioni oggi sono meno di 500mila e contemporaneamente è invece cresciuta a dismisura la fauna selvatica. «E’ anche per questo che è stato modificato il titolo della legge sulla caccia – aggiunge Buconi -. Mentre nel 1992 si parlava di legge “per la gestione e la tutela delle specie selvatiche” oggi si parla solo di ‘”gestione”. In più, la legge degli anni ’90 divideva gli ambiti venatori per specie, quindi chi cacciava la fauna stanziale come faggiano o lepre non poteva effettuare quella da appostamento alle specie migratorie come tordo o merlo e viceversa. Adesso si tende a rimuovere queste limitazioni anche perché di fronte ad emergenze come la proliferazione dei cinghiali, primo vettore della peste suina africana, i cacciatori spesso non bastano per effettuare una gestione efficace».
Fonte: Il Sole 24 Ore