
Dote famiglia, misure spot e incertezza frenano le scelte
Negli ultimi mesi si sono moltiplicati gli annunci di nuovi bonus o riconferme di bonus esistenti, che dovrebbero portare un vento di fiducia nelle case italiane. È opportuno, tuttavia, fare una riflessione non emotiva sull’impatto che la strategia dei bonus ha sull’atteggiamento delle famiglie verso il futuro.
Progettare una famiglia implica orizzonti di anni: decidere se avere un figlio, organizzare tempi di cura e di lavoro, costruire una stabilità economica. Le misure pubbliche, invece, frammentarie e a scadenza, vivono nella logica del provvedimento temporaneo, con risorse limitate e criteri mutevoli. Di fronte ai nuovi bonus, dopo una prima reazione euforica, la maggior parte delle famiglie alza il mirino e lo punta più lontano, chiedendosi se valga la pena di compiere certe scelte di durata ben superiore al tempo spot di un bonus: l’accesso a tutta una serie di sconti, grazie a un Isee inferiore alla soglia stabilita, potrebbe decadere l’anno successivo, rendendo la famiglia improvvisamente molto più povera, paradossalmente perché il suo reddito è aumentato (la “trappola della soglia”). Fino a un certo limite (si pensi ai fatidici 40mila euro di Isee per bonus nascita, nido, mamme) si è “meritevoli” di aiuto, appena sopra si diventa invisibili: una linea che colpisce soprattutto il ceto medio, già fragile, ma snodo della ripresa demografica.
Alle misure nazionali si aggiunge una costellazione di bandi regionali e comunali. Molti funzionano con logiche da click-day: risorse che si esauriscono in poche ore, accessibili solo a chi è più rapido o informato. Ne deriva una frammentazione che penalizza alcune aree del Paese e accentua le disuguaglianze, generando l’impressione che il sostegno alle famiglie sia affidato al caso e non a una strategia.
Che i bonus non siano la soluzione lo dimostra il dato demografico: nel 2024 i nati in Italia sono scesi sotto le 380mila unità, un minimo storico. È il segnale che provvedimenti estemporanei non incidono sulle scelte di fertilità, che si fondano sulla disponibilità di servizi, sulla conciliazione tra lavoro e cura, su un clima di stabilità e fiducia. Tra l’altro, anche dove i servizi esistono, le famiglie continuano a programmare nell’incertezza, perché chi decide di aver un figlio lo fa senza sapere se sarà ammesso al nido, con quale orario, se potrà contare su un centro estivo. Resta un salto nel buio.
È evidente che l’approccio attuale pecca di una visione troppo corta. La prospettiva efficace usa la lente della famiglia che vede le interconnessioni tra le diverse misure e la loro ricaduta sui processi decisionali di lungo raggio. La lente della famiglia indica chiaramente che servono misure strutturali, programmate su orizzonti pluriennali, con criteri di accesso graduali. In gioco non c’è solo il sostegno immediato alle famiglie, ma la possibilità stessa di invertire una tendenza demografica che mina il futuro del Paese.
Fonte: Il Sole 24 Ore