Due reati per il falso olio extravergine d’oliva, con l’aggravante del prodotto Dop

Rischia il carcere il titolare e amministratore legale della società che produce, confeziona e commercializza come extravergine d’oliva un olio mischiato con i semi. Una condotta che fa scattare un concorso di reati: frode in commercio e vendita di sostanze alimentari non genuine, con l’aggravante di alterare un prodotto Dop. Due reati che, ad avviso della Cassazione, vanno giudicati in concorso senza possibilità che la frode in commercio assorba la vendita di cibi non genuini, come affermato da altre pronunce in passato. Con un giro di vite la Suprema corte disattende un principio meno restrittivo, e afferma una severa condanna a carico dei titolari e legali rappresentanti di una Srl che vendeva direttamente ai propri clienti, a negozianti, alberghi o strutture ricreative, un olio per fare il quale le olive non erano state troppo utilizzate, essendo solo di semi o miscelato. Una “contaminazione” accertata nei laboratori e dai Nas, che non era sfuggita neppure ai clienti di alcuni negozianti che avevano scritto delle lettere per lamentarsi della cattiva qualità del finto “Evo”.

L’aggravante per i prodotti Dop

La Corte di legittimità chiarisce la differenza tra i due reati commessi entrambi punibili, con l’aggravante di aver alterato un prodotto Dop, come previsto dal codice penale. La frode in commercio (articolo 515 del Codice penale), nella sua forma consumata, c’è quando avviene la consegna all’acquirente di una cosa mobile diversa, per origine, provenienza e qualità, da quella dichiarata o pattuita. Mentre per il tentativo non serve la prova di una di contrattazione ma basta accertare che il prodotto è destinato al mercato. L’articolo 516 del Codice penale sulla vendita di cose non genuine riguarda invece solo gli alimenti e si considera sempre consumato. In questo quadro, ad aggravare la situazione nel senso pieno del termine, c’era anche il fatto che oggetto della frode fosse un prodotto soggetto alla tutela assicurata dal marchio Dop come l’olio extra vergine di oliva. Un’indicazione dell’origine protetta che la società non mancava di riportare sulle etichette senza avere però la necessaria certificazione per utilizzarla. Per la commercializzazione dell’olio evo le norme europee hanno, infatti, fissato degli standard qualitativi minimi: dal tipo di estrazione solo meccanica, al grado di acidità che non va superato.

Fonte: Il Sole 24 Ore