Eccessi e privacy dimenticata: perché i tributi a Giorgio Armani rischiano di essere l’anti-Armani
La camera ardente è chiusa, i funerali sono oggi in forma privata – davvero privata, ci saranno 20 persone – e sempre oggi a Milano e Piacenza e Pantelleria è lutto cittadino. Come sarà il gruppo Armani senza Giorgio Armani, si chiedono in molti, ora che i ricordi e gli eccessi mediatici rallenteranno, inevitabilmente? Ricordi in larga parte caratterizzati da personalismi e mancanza di quella sobrietà che lo stilista e imprenditore ha sempre voluto incarnare, nella vita, nel suo modo di fare impresa e naturalmente nella moda.
Nessuno potrà essere come Armani, scomparso a 91 anni avendo quattro ruoli in uno: fondatore, presidente, amministratore delegato e direttore creativo del marchio e del gruppo che fondò nel luglio del 1975. Oggi i ruoli manageriali e creativi, a maggior ragione in grandi aziende (e quella di Armani, controllata dal fondatore al 99%, aveva chiuso il 2024 con ricavi per 2,3 miliardi), sono separati. Nell’ultimo periodo della sua vita Armani lasciò intendere che, se avesse potuto tornare indietro, avrebbe costruito in modo diverso l’equilibrio lavoro-vita privata. Quello che non rinnegò mai invece fu la riflessiva sobrietà – che includeva l’autocritica – alla quale improntò il suo lavoro, la sua moda, la vita privata e persino i rapporti, inevitabilmente pubblici, con star del cinema e personaggi famosi italiani e non.
Se esiste un modo davvero umano per ricordarlo è rispettare la sua misura, anche e soprattutto nella moda, che negli ultimi anni ha vissuto di eccessi e che forse rischia, a sua volta, di morirne. Quello che abbiamo letto, sentito e visto a partire da giovedì scorso, giorno della morte, spinge molte altre riflessioni. Misura, equilibrio, tutela del proprio privato, discrezione, sobrietà, esposizione mediatica quanto basta, orrore per gli eccessi e le urla. Misurato, equilibrato, geloso del proprio privato, discreto, refrattario alle interviste e agli eccessi mediatici (su “vecchi” e nuovi media, si intende). Sono alcuni dei sostantivi e aggettivi che abbiamo letto e sentito di più dal pomeriggio di giovedì 4 settembre, usati per descrivere Giorgio Armani e la sua vita, prima e dopo la nascita del suo marchio, che risale al luglio 1975.
Volendo però descrivere, nel suo complesso, la copertura mediatica degli ultimi giorni, è meglio usare ogni possibile sostantivo e aggettivo, non sinonimo bensì contrario, a quelli letti e sentiti per ricordare o raccontare Giorgio Armani.
Tralasciando la mera quantità di pagine sui quotidiani di venerdì 5, sabato 6, domenica 7 e di oggi, lunedì 8 settembre – fuori misura in sé -, mi hanno colpito in particolare, quasi ferita, i retroscena sull’involuzione delle condizioni fisiche di Giorgio Armani negli ultimi tre mesi, settimane, giorni. Ancora più negativamente mi hanno colpita i pettegolezzi (?) e ricostruzioni (?) sulla vita privata di Giorgio Armani e sulla sua famiglia. Se ci sono due temi sui quali, credo, non avrebbe voluto che trapelasse alcun particolare sono proprio la salute e la vita privata. Quello che c’era da dire sui due temi lo aveva sempre detto lui in modo – ma guardate che strano – misurato.
Fonte: Il Sole 24 Ore