Ecco Return to Monkey Island. Finalmente svelato il segreto di Guybrush Threepwood

Ritornare trent’anni dopo nell’isola di Monkley Island con Guybrush Threepwood, Elaine e il pirata LeChuck è emozionante ma avvilente al tempo stesso. Perché vuole dire ritornare negli anni Novanta, alle avventure punta e clicca della Lucasfilm Games a una scrittura videoludica che si è persa nel tempo. Una parte di te vorrebbe riportare quel genere al successo, trovarci una qualche modernità ma è come pretendere di rivedere il cult movie The Blues Brothers con il proprio figlio o un qualunque esponente della Generazione Z e convincerlo ad amarlo come l’hai amato tu. Non funziona. Esattamente come per Return to Monkey Island.

Dietro a questo progetto c’è davvero tutta o quasi la “band” degli esordi, manca solo Tim Schafer. I due autori Ron Gilbert & Dave Grossman hanno rimesso mano allo loro creatura, abbandonando la pixel art per uno stile grafico e una struttura del gioco più contemporanee. Il risultato è una operazione nostalgia senza precedenti. Ma è un po’ come andare a sentire i PinkFloyd senza Roger Water. Le canzoni sono sempre quelle ma manca qualcosa. Return to Monkey Island è un revival ben organizzato ma, lo diciamo subito, lo stile di scrittura e l’ironia geniale di Tim Schafer sono una assenza che si fa sentire.

Dove eravamo rimasti? 

Si riparte dal parco giochi dove si era concluso il secondo capitolo Monkey Island 2: LeChuck’s Revenge per spiegare quanto era successo nel passato. Ad ogni modo vogliamo rassicurare si ripartirà da Mêlée Island e questa volta la missione sarà quella di scoprire una volta per tutte il segreto di Monkey Island. Troveremo Ealine che però non è più la governatrice dell’Isola, il Grog, il teschio parlante, i pirati ubriaconi e il mitico venditore Stan S. Stanman.

Cosa ci è piaciuto.

Ritroveremo le avventure punta e clicca ma con un gameplay rivisto e riaggiornato. Il gioco per Pc e per Nintendo Switch apparirà semplificato rispetto ai capitoli precedenti. In questo senso c’è della modernità. Non sarete costretti a risentire tutti i dialoghi, i passaggi sono più lineari, c’è il quaderno che vi ricorda cosa dovete fare, c’è persino una modalità casual dove potete concentrarvi sulla storia più che sui puzzle. Insomma, non perderete tempo a passare il mouse su ogni pixel per cercare l’indizio o l’oggetto che vi serve.

Cosa non ci è piaciuto.

Le scelte di direzione artistica ma è una questione davvero soggettiva. Chi vi scrive preferiva il primo Guybrush Threepwood, quello tutto pixellato. Il vero e unico difetto è tutto troppo semplice. Il consiglio è quello di non indugiare e scegliere l’Hard Mode. I ricordi migliori sono quelli dove hai faticato di più.

Fonte: Il Sole 24 Ore