Emilio Fede, il volto teatrale del Tg4 tra notizie, polemiche e Berlusconi

Emilio Fede, il volto teatrale del Tg4 tra notizie, polemiche e Berlusconi

«Ogni mattina leggo i necrologi. Se non c’è il mio nome, vado a farmi la barba». Era il 2015 ed Emilio Fede salutava così chi era intervenuto a Roma per la presentazione del suo libro “Se tornassi ad Arcore. Il bilancio di una vita da direttore”. Classe 1931, l’ex direttore del Tg4 offriva allora un compendio della propria vita, partendo dagli eventi di cui e’ stato testimone nei lunghi anni di carriera ma senza dimenticare il lato umano di ogni cosa vissuta. Istantanee della sua vita, ma anche del mondo che cambia. Dagli inizi come cronista volontario all’ingresso in Rai fino all’approdo in Fininvest.

Emilio Fede è stato, per quarant’anni, l’incarnazione stessa di un certo modo di fare giornalismo televisivo: teatrale, capace di emozionarsi in diretta e di trasformare le notizie in un racconto personale. Con lui il Tg4 non era solo un notiziario, ma un palcoscenico in cui andava in scena, ogni sera, l’Italia di Silvio Berlusconi. Quel telegiornale, per Emilio Fede, non è mai stato soltanto un notiziario. Era uno specchio. Lo guardavi e vedevi insieme il Paese e il suo direttore: l’Italia filtrata da un volto, da una voce, da un sopracciglio inarcato.

In Rai inizia a collaborare nel 1954. Viene assunto nel 1961 iniziando un percorso che lo porterà (dopo otto anni come inviato speciale dall’Africa accompagnato da più di una puntura di spillo su tenore di vota e spese) a condurre il Tg1 delle ore 20 dal 1976 al 1981, quando ne è diventato direttore (1981-83). Lasciò la Rai per entrare in Mediaset, dapprima come direttore di Studio Aperto (il telegiornale di Italia 1), poi alla guida del Tg4 (dal 1992).

Quello con Mediaset (e con Silvio Berlusconi) Sarebbe diventato il sodalizio più longevo della televisione commerciale italiana. Per quasi vent’anni, Fede aprì e chiuse le giornate degli italiani con la sua inconfondibile miscela di notizie e opinioni. Era considerato il volto della fedeltà assoluta al Cavaliere, capace di difenderlo anche quando tutti lo attaccavano. La satira lo prese di mira, Crozza ne fece una macchietta irresistibile, ma lui non arretrò mai: «Io sono il direttore», ripeteva con orgoglio.

Fonte: Il Sole 24 Ore