“Ensemble” di Mehretu e “Liminal” di Huyghe a Venezia

L’intelligenza artificiale irrompe prepotente nella nuova stagione espositiva della Fondazione Pinault a Venezia, che anticipa l’ondata artistica che invaderà Venezia ad aprile con la 60° Biennale Arte e tutto il corollario di mostre collaterali.
Palazzo Grassi e Punta della Dogana hanno già inaugurato domenica 17 marzo le due mostre che caratterizzeranno la stagione espositiva 2024 della fondazione parigina, assieme ad una appendice al Teatrino di Palazzo Grassi, l’installazione video di Edith Dekyndt “Song to the Siren” che riprende una giovane intenta a pulire delicatamente, quasi in una danza, il monumento alla Partigiana di Augusto Murer che sta adagiato tra le onde del bacino di San Marco, proprio davanti ai Giardini della Biennale.

Punta della Dogana

“Liminal” (fino al 24 novembre) è la mostra concepita da Pierre Huyghe per gli spazi di Punta della Dogana. E’ la prima mostra dedicata in Italia all’artista francese, che ha scelto per l’occasione opere inedite affiancate ad altre (che provengono in parte dalla stessa Collezione Pinault), realizzate nell’arco degli ultimi dieci anni. La mostra, che Huyghe ha realizzato in stretta collaborazione con la curatrice Anne Stenne, si addentra nel mondo inquietante e affascinante dell’Intelligenza Artificiale, analizza la sottile linea di demarcazione tra uomo e macchina, vuol farci esperire il limite, il labile confine tra umano e non-umano, tra spazio e non-spazio, tempo e non-tempo. E’ una mostra coraggiosa e per certi versi sconvolgente, che annulla le certezze, la confort-zone in cui ciascuno di noi si colloca. Creato in una atmosfera buia immersiva, nutrito di filosofia e fantascienza, il percorso espositivo che Pierre Huyghe ha creato attraverso opere che si autogenerano e si sviluppano grazie al machine learning, invita lo spettatore a interrogarsi su cosa significhi essere umani o su cosa c’era prima della comparsa del genere umano sulla terra.Nuovi corpi e nuovi idiomiIl video che dà il titolo a tutta la mostra, “Liminal”, mette in scena proprio un simulacro di corpo dalle fattezze femminili ma senza volto, svuotato anche del cervello, che si evolve attraverso gli stimoli che riceve. Tra acquari popolati da entità diverse, video che si autoeditano in tempo reale grazie all’AI, strumenti autogeneranti che modificano suoni e luci, e immagini mentali generate da reti neurali profonde, si aggirano nel buio dei saloni anche umani/inumani che indossando maschere dorate: queste catturano suoni e vibrazioni che daranno vita ad un nuovo linguaggio, “Idiom”, che nemmeno l’artista ancora conosce. Pierre Huyghe trasforma insomma Punta della Dogana in uno spazio dinamico e sensibile, in costante evoluzione: una mostra fatta di creature che contaminato la realtà con altre realtà possibili, in cui l’intelligenza artificiale gioca un ruolo basilare assieme all’esperienza soggettiva dei visitatori.

Palazzo Grassi

Dal buio di Punta della Dogana all’esplosione di colori di Palazzo Grassi dove fino al 6 gennaio 2025 è allestita “Ensemble”, la più grande mostra di Julie Mehretu mai presentata in Europa. Tutto ruota attorno a un imponente nucleo di oltre cinquanta opere realizzate dall’artista etiope naturalizzata statunitense, scelte da lei stessa assieme alla curatrice Caroline Bourgeois tra quelle realizzate nell’arco degli ultimi venticinque anni fino ad oggi.

Mehretu – una delle astrattiste di spicco del panorama artistico contemporaneo – ha voluto affiancare alle proprie opere quelle di altri artisti amici, che insieme hanno creato un gruppo di lavoro che dà all’esposizione un senso di comunità: da Tacita Dean a David Hammons, Nairy Baghramian, Huma Bhabha, Robin Coste Lewis, Paul Pfeiffer e Jessica Rankin. Il risultato è una “monografia plus”, come l’ha definita il direttore di Palazzo Grassi Bruno Racine, una mostra corale che fa vedere diversità di approcci ma amicizia reale e visioni comuni.Gli artisti scelti per “Ensemble” sono persone con vite e percorsi artistici molto diversi, ma in dialogo, in discussione tra loro sui temi più urgenti del presente, come avviene nella vita reale. Partendo da un principio di rimandi visivi, il dialogo in effetti funziona, sia tra opere più o meno recenti della stessa Mehretu che tra le sue opere e quelle degli artisti amici.Ne esce un interessante percorso non cronologico che mette in evidenza soprattutto un intenso lavoro di stratificazione e di sovrapposizione in tutte le opere. Strati su strati nei dipinti di Mehretu, segni astratti che si sovrappongono a fitti disegni di architetture e di città, tracce di corpi umani, macchie, linee, punti, segni che sulla superficie dei quadri si accumulano e rimandano ad altre vie dell’astrattismo. Ma anche i fogli di carta e i sacchetti di plastica di David Hammons o i fitti ricami su tela di Jessica Rankin sono altre stratificazioni che moltiplicano le immagini a seconda dei punti di vista e alle quali corrisponde l’idea di lavorare insieme tra artisti per creare un metalinguaggio significativo.Bellissime, in questo senso, le ultime opere create da Julie Mehretu,

Fonte: Il Sole 24 Ore